Fra il 15 e il 16 dicembre sono attese le decisioni di politica monetaria di Fed, Bce e BoE
Da parte della Fed ci si aspetta un cambio di passo, dopo che l’inflazione ha raggiunto i massimi livelli dal 1982 lo scorso novembre
Dalla Bce ci si aspetta qualche indicazione in più sulla fine del piano di acquisti anti-pandemia Pepp e su ciò che seguirà – forse un potenziamento dell’App
Quanto alla Banca d’Inghilterra, il rialzo dei tassi non è più così scontato – ora che la variante omicron ha iniziato a dilagare nel Paese
Negli Stati Uniti l’indice dei prezzi al consumo ha raggiunto a novembre i massimi livelli dal 1982, al 6,8%, con rincari estesi a ogni categoria e non interamente imputabili alle sole conseguenze della pandemia. Nell’Eurozona, nel frattempo, il tasso d’inflazione (Hicp) è stato stimato al 4,9%. All’interno di questo dato generale si trovano picchi particolarmente rilevanti: il +5,2% registrato nella Germania tradizionalmente avversa all’inflazione, è il tasso più elevato degli ultimi 29 anni. Anche nel Regno Unito, i cui ultimi dati risalgono ad ottobre, l’andamento dei prezzi è stato il più rapido dell’ultimo decennio, al +4,2%.
Ancora una volta, poi, la minaccia del covid-19, nella sua ultima variante omicron, rischia di influenzare le decisioni dei banchieri centrali, inducendoli a mantenere un atteggiamento più prudente. Almeno finché non sarà chiarita l’effettiva letalità del nuovo virus. Se la variante omicron dovesse spingere ulteriormente l’inflazione, il dilemma delle banche centrali, costrette a scegliere fra il sostegno alla crescita e il contenimento dei prezzi, si farebbe ancora più gravoso, ha dichiarato a We Wealth Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. “La conseguenza più evidente di questo fenomeno potrebbe essere un’accelerazione ulteriore del flattening”, l’appiattimento della curva dei rendimenti, “con tassi divergenti a breve termine (in salita) verso quelli a lunghissimo termine”.
In occasione delle imminenti riunioni, le politiche della Fed e della BoE dovrebbero cominciare a disallinearsi in modo più evidente da quelle della Bce. Negli Stati Uniti le pressioni inflazionistiche sono decisamente più elevate e il mercato del lavoro particolarmente stretto rischia di far accelerare ulteriormente la crescita dei salari e, di conseguenza, i prezzi applicati dalle imprese su beni e servizi. Nel suo ultimo intervento al Senato di fine novembre, il presidente della Fed, Jerome Powell, ha messo da parte la narrazione sull’inflazione “transitoria” e ammesso che il ritmo del tapering potrebbe essere incrementato. La riduzione più rapida del ritmo di acquisti di titoli da parte della Fed anticiperebbe il primo momento idoneo al rialzo dei tassi.
“La Fed, a nostro avviso, deciderà di raddoppiare la velocità di riduzione degli acquisti dei titoli governativi e Mbs da 15 a 30 miliardi di dollari, lasciandosi la possibilità di terminare il piano di quantitative easing nella primavera 2022”, ha dichiarato a We Wealth il senior market strategist di IG, Filippo Diodovich. “In caso di ulteriore crescita delle pressioni inflazionistiche la Fed si preparerà a rialzare il costo del denaro di 25 punti base nella prima metà del 2022” ha aggiunto lo strategist, secondo il quale saranno successivamente altri due gli aumenti del costo del denaro nel prossimo anno. “La Federal Reserve non può più aspettare e deve impegnarsi per tenere ancorate le aspettative di inflazione di medio periodo al 2%. Solo con un cambio radicale di approccio in politica monetaria può avere un impatto concreto sulle aspettative di inflazione”, ha affermato Diodovich.
Anche per Antonio Cesarano “la prima mossa della Fed” potrebbe essere un’accelerazione significativa del tapering, “per essere in condizioni di aumentare i tassi già nel corso del secondo trimestre”. Cesarano, tuttavia, prevede che la Fed non potrà spingersi a oltre due rialzi nel 2022, per via del rallentamento della domanda che si inizierà ad osservare nella primavera del prossimo anno. “La Fed potrebbe allora comunque decidere di effettuare un primo rialzo tra maggio e giugno poi, successivamente, il rallentamento della domanda potrebbe ridimensionare molto la leva tassi e i rialzi potrebbero spingersi al massimo a due, ma con l’aspettativa successiva di una rapida inversione della politica monetaria… nel biennio 2024/2025”, ha dichiarato l’esperto di Intermonte.
Lo scenario dell’Eurozona sembra, invece, quello più lontano da una stretta monetaria. Da un lato, l’inflazione resta più concentrata su componenti più direttamente collegate alla crisi energetica e ai colli di bottiglia legati al covid. Dall’altro la crescita dei salari non pone particolari grattacapi nella gestione dell’inflazione, visto che nel secondo trimestre si sono addirittura ridotti dello 0,4%. In vista del meeting del 16 dicembre la banca guidata da Christine Lagarde dovrebbe mantenere un tono generalmente accomodante sulle prospettive di rialzo dei tassi, pur innalzando le previsioni sull’inflazione.
Il piano di acquisti anti-pandemico da 1.850 miliardi di euro (Pepp) dovrebbe essere completato entro il prossimo marzo, e su questo potrebbero arrivare suggerimenti più chiari da parte dell’Eurotower. In seguito resterebbe in piedi il programma App, il quantitative easing già in uso prima del covid, i cui acquisti netti mensili potrebbero essere successivamente incrementati dai 20 miliardi attuali, per appianare gli effetti della scomparsa del Pepp. Secondo gli analisti di Bank of America il programma App verrà “promesso” fino alla fine del 2022, con “una ricalibrazione” a “40 miliardi di acquisti mensili per il secondo trimestre del 2022”. Per quanto riguarda i titoli acquistati nell’ambito del Pepp, la banca americana si aspetta che verranno rinnovati a scadenza fino al 2024 – una scelta che eviterebbe di sottrarre liquidità al sistema prima del tempo. Di rialzi dei tassi, per la Bce, non si parlerà per tutto il 2022.
Le cautele della Bce hanno anche un’inconfessabile giustificazione: il fatto che un’uscita troppo rapida dalle politiche accomodanti riaccenderebbe le speculazione sui debiti pubblici della periferia. Questo avverrebbe in un contesto particolarmente vulnerabile, dato che i debiti pubblici accumulati durante la pandemia sono cresciuti in modo sostanziale. Il fatto che la Bce si preoccupi di questo problema è considerato come qualcosa di “normale”, benché mantenere sotto controllo gli spread esuli completamente dal mandato della banca centrale.
“La grande domanda è come la Bce preparerà senza problemi il dopo-pandemia e la graduale riduzione degli acquisti di asset”, ha dichiarato al Financial Times l’ex vicepresidente della Bce Vítor Constâncio, sostenendo che “la situazione sta diventando più difficile” per l’Eurotower. “La Bce potrebbe poco alla volta far percepire che la tolleranza verso l’inflazione elevata farà riferimento ad almeno la prima parte del 2022”, ha ipotizzato Cesarano, aggiungendo che “non sarà un’operazione facile” per via delle prevedibili ostilità dei falchi”.
Tirando le somme sul mercato dei cambi
La divergenza fra le politiche di Fed e Bce rafforzeranno il trend negativo del dell’euro sul dollaro, secondo Diodovich: “Nel medio/lungo periodo ci aspettiamo ulteriori ribassi per il cambio eurodollaro”, ha affermato l’esperto di IG, “nella prima metà dell’anno quando la Federal Reserve si preparerà a un rialzo del costo del denaro ci aspettiamo un eurodollaro a 1,08”. L’idea che le aspettative sui rialzi della Fed potrebbero ridimensionarsi in seguito al rallentamento della domanda, (fattore che sarebbe ancor più accentuato in caso di nuove interruzioni sul commercio dovute alla omicron), ha spinto la previsione di Cesarano verso un possibile recupero successivo dell’euro in area 1,15/1,18 “dal secondo o terzo trimestre in poi”.