Wall Street è entrata ufficialmente nel “mercato orso”, ma l’inflazione Usa è tornata ad accelerare e nessuno in questo momento pensa che la Fed raffredderà le sue posizioni – nonostante il rischio recessione in aumento
Con un’inflazione così elevata e un mercato del lavoro così forte, la Fed sembra costretta a rincorrere una situazione che, secondo alcuni osservatori, sembra già sfuggita di mano
A motivare la forte sensazione che la Fed procederà con decisione verso la stretta monetaria è un tasso d’inflazione che, a maggio, ha vanificato l’ipotesi del “picco raggiunto” tornando ad accelerare su base mensile (+1%), con un tasso annuo pari all’8,6%. Come se non bastasse l’indice di fondo, che esclude fra le altre cose anche i prezzi dell’energia attualmente influenzati dalla guerra in Ucraina, è anch’esso su una stabile rotta ascendente con un incremento mensile dello 0,6% maggio (il secondo consecutivo) e un tasso annuo del 6%.
Con un’inflazione così elevata e un mercato del lavoro così forte (la disoccupazione è al 3,6%), la Fed sembra costretta a rincorrere una situazione che, secondo alcuni osservatori, sembra già sfuggita di mano.
Allo stesso tempo, fra gli economisti si sta diffondendo la convinzione che domare i prezzi, per la Fed, comporterà un brusco rallentamento della crescita economica.
Secondo il 70% degli economisti sondati da Ft e Università del Michigan si arriverebbe alla recessione americana entro il 2023. Per il momento, però, non sembra che questo timore potrà ammorbidire i toni della banca centrale americana, anche se si tratta di una prospettiva che ha già portato ufficialmente Wall Street nel “mercato orso” (ossia al di sotto del 20% rispetto al picco precedente). L’ultima volta questo era accaduto all’inizio della pandemia, nella primavera del 2020; si trattò anche del mercato ribassista di più breve durata di tutta la storia finanziaria. In questa nuova circostanza, in cui la spesa pubblica e le politiche monetarie non si espanderanno affatto, la debolezza potrebbe protrarsi per più tempo.
La recessione ora non è il timore principale della Fed
“Crediamo che la Fed continuerà a guardare i dati macroeconomici sull’andamento dell’inflazione e non farà alcun ammorbidimento per evitare i rischi di una recessione nel 2023”, ha dichiarato a We Wealth Filippo Diodovich, senior market strategist di IG, “al momento la principale priorità è tornare a controllare la stabilità dei prezzi che, per colpa di sottovalutazioni fatte nei mesi scorsi dai banchieri centrali statunitensi, è stata persa… la Fed potrebbe rivedere le decisioni solamente se assisterà a un concreto allentamento delle pressioni inflazionistiche, che al momento non esiste.”.
Anche secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro, eventuali cambi di rotta della Fed dipenderanno soprattutto dall’evoluzione dell’inflazione. “Le aspettative di un inasprimento della politica monetaria sono salite con i FedWatch che per dicembre si aspettano un tasso sui livelli del 3,5% (attualmente siamo all’1%) con una probabilità passata, in una settimana dal 4,3% al 35,6%”, ha dichiarato Debach, “inoltre, le probabilità implicite per rialzi di 75 punti bae nelle prossime riunioni sono salite su valori a cui non si assisteva da quando Paul Volcker decise di interrompere la spirale inflazionistica all’inizio degli anni Ottanta”.
Secondo IG, “la Federal Reserve proseguirà nel sentiero di rialzi sostanziosi da 50 punti base dei tassi di interesse nei prossimi tre meeting del Fomc, per poi gradualmente passare a incrementi di 25 punti base”, anche se “il mercato al momento sta scontando una Federal Reserve ancora più aggressiva sui tassi con aumenti totali pari a 175 punti base nelle prossime tre riunioni”. Questo implicherebbe almeno un rialzo da 75 punti base entro l’estate.