Green pass e luogo di lavoro: quello che devi sapere

Il decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri sancisce l’obbligatorietà del green pass per poter svolgere nei locali pubblici o privati la propria mansione lavorativa. Rimarrà in vigore, salvo ulteriori proroghe, fino allo scadere dello stato di emergenza fissato al 31 dicembre 2021
Le norme che introducono l’obbligo di possesso ed esibizione del green pass per accedere ai posti di lavoro prevedono la sospensione del lavoratore sfornito di certificazione e l’interruzione della retribuzione. Occorre prestare attenzione anche ai casi in cui sono previste le sanzioni
In questo contesto, pertanto, ogni datore di lavoro, così come ogni consulente, deve essere edotto sugli elementi che caratterizzano questa misura.
In primo luogo è bene osservare che non vi sono categorie di lavoratori esclusi dall'obbligo che, pertanto, riversa la sua efficacia sui lavoratori subordinati e sugli autonomi, appartenenti al settore pubblico e privato; nonché ai soggetti che svolgono attività di volontariato o di formazione.
Il vincolo del green pass vale, dunque, praticamente per tutte le figure: dai titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice, ai lavoratori domestici: questi ultimi, inoltre, dovrebbero esibire, prima di accedere ai luoghi deputati all'esercizio della loro attività, il certificato vaccinale (green pass) ai propri datori.
Ebbene, ciò considerato, le uniche categorie che possono dirsi sollevate dal dovere di possedere, e dunque esibire, il green pass sono coloro che si trovano in possesso di apposita certificazione medica che li esenta dalla campagna vaccinale.
Ma chi controlla? È il datore di lavoro che, in linea generale, ha il potere-dovere di verificare al momento dell'accesso il possesso del certificato verde dei propri dipendenti; dunque prima che questi varchino la soglia dei luoghi di lavoro.
Entro il 15 ottobre, però, ogni datore di lavoro potrà predisporre uno specifico modus operandi. Sarà, pertanto, possibile nominare, con apposito atto formale, un soggetto responsabile della verifica dei green pass; sarà possibile, inoltre, procedere a controlli a campione.
Più nel dettaglio, il lavoratore privo del certificato è considerato assente ingiustificato e, dopo cinque giorni di assenza, vedrà sospeso il rapporto di lavoro, unitamente alla retribuzione; che si intenderà non dovuta dal primo giorno di sospensione.
La sospensione perdurerà fino al momento in cui il lavoratore non riuscirà a dimostrare il possesso del green pass. In questi termini, si può assumere che il lavoratore conserva il diritto di interrompere discrezionalmente il periodo di sospensione semplicemente munendosi del green pass ed esibendolo al datore; il quale, a quel punto, avrà l'obbligo di reintegrarlo.
Come rilevato da Confesercenti, che pure si dice favorevole all'introduzione dell'obbligo del green pass per i dipendenti privati, si pone un problema relativamente al rapporto che intercorre tra dovere di sospensione e necessità di sostituzione del lavoratore sospeso.
Allo stato attuale, nelle bozze di decreto, sembrerebbe che il legislatore abbia preso posizione solo per le imprese con 15 o meno dipendenti. In questo caso, infatti, è previsto che la sospensione per i lavoratori non in possesso di certificazione non potrà essere superiore a 10 giorni; non sono però chiari, ancora, i termini entro cui sarà possibile procedere alla sostituzione del lavoratore sospeso.
Una simile circostanza, secondo Confesercenti, rischia di compromettere la prosecuzione delle attività, incidendo negativamente sulla programmazione e organizzazione del lavoro.
Venendo al profilo sanzionatorio, il decreto prevede che i soggetti che – pur in assenza di certificazione verde – accedono ai luoghi di lavoro, sono sottoposti a sanzione pecuniaria da 600 a 1500 euro.
I datori di lavoro, invece, che non adempiono alle verifiche necessarie o non predispongono efficaci modalità di verifica possono risultare destinatari di sanzioni da 400 fino a 1000 euro.