Il regolamento si applica a tutti i partecipanti ai mercati finanziari, compresi i gestori di fondi d’investimento alternativi (“Gefia”). Rientrano nella definizione anche i Gefia “sotto-soglia” e quelli “non Ue”
Ai sensi dell’art. 8, è sufficiente che un fondo si dichiari “sostenibile” o “esg” (nel suo nome) per sostenere che promuova caratteristiche ambientali e sociali o che abbia un obiettivo d’investimento sostenibile? Ecco i chiarimenti
L’informativa si estende anche ai “Gefia”?
Come precisato dalla banca d’affari statunitense e definito nell’art. 2 dell’informativa, il regolamento si applica a tutti i partecipanti ai mercati finanziari, compresi i gestori di fondi d’investimento alternativi (“Gefia”). Rientrano nella definizione anche i Gefia “sotto-soglia” vale a dire i gestori caratterizzati da asset under management inferiori ai 100 milioni di euro o, in assenza di leva finanziaria o qualora non prevedano un diritto di riscatto delle quote o delle azioni per un periodo di cinque anni, inferiore a 500 milioni di euro. Inoltre, la normativa si estende alle società autorizzate alla gestione di fondi d’investimento alternativi in uno Stato non appartenente all’Unione europea (Gefia non Ue), qualora operino “nel mercato di un determinato Stato membro per mezzo di un National private placement regime (un meccanismo che consente ai gestori di fondi alternativi non Ue di operare in Europa senza il “passaporto” della direttiva europea per i gestori di fondi di investimento alternativi, Aifmd, ndr)”, precisa Bofa.
Qual è il perimetro di applicazione dell’articolo 9?
L’art. 9 della Sfdr relativo alla trasparenza degli investimenti sostenibili nelle informazioni precontrattuali si applica, come anticipato in apertura, ai prodotti finanziari che hanno come obiettivo investimenti sostenibili, vale a dire investimenti “in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare; o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza; o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali; o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”, ai sensi dell’art. 2 della normativa. Il riferimento comunque, in quest’area, sono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu nel 2015.
In riferimento ai due benchmark climatici, l’Eu climate transition benchmark e l’Eu Paris-aligned benckmark, è necessario poi che il prodotto finanziario li segua passivamente. Ma in loro assenza, “le informazioni precontrattuali devono includere una spiegazione dettagliata di come sia garantito uno sforzo continuo nel raggiungimento della riduzione delle emissioni di carbonio” in linea con gli obiettivi per il contenimento del riscaldamento globale nel lungo termine previsti dagli Accordi di Parigi, scrive Bofa.
E dell’articolo 8?
L’art. 8 della Sfdr, invece, si applica qualora un prodotto promuova “tra le altre caratteristiche, caratteristiche ambientali o sociali”, si legge nella normativa, o una combinazione di queste, “a condizione che le imprese in cui gli investimenti sono effettuati rispettino prassi di buona governance”. A tal proposito, Bofa precisa che rientrano in tale definizione anche quei prodotti che si limitino ad adeguarsi a una normativa nazionale in termini di sostenibilità (come il divieto di investire nelle munizioni a grappolo).
Ma è sufficiente che un fondo, nel suo nome, si dichiari “sostenibile” o “esg” per sostenere che promuova caratteristiche ambientali e sociali o che abbia un obiettivo d’investimento sostenibile? Secondo l’istituto sì, a condizione che tale promozione poggi su disclosure, informazioni, reporting, che esplicitino in che modo vengano rispettate le caratteristiche ambientali e sociali in termini di politiche d’investimento e di obiettivi.
Prendere in considerazione un rischio di sostenibilità nella decisione d’investimento, continua Bofa, non basta invece ai fini dell’applicazione dell’art. 8. E lo stesso vale per le esclusioni settoriali. Un fondo che esclude il tabacco, per esempio, può rientrare nel perimetro dell’art. 8 solo a condizione che le caratteristiche ambientali e sociali siano promosse esplicitamente all’interno della documentazione del fondo stesso.
La regolamentazione, infine, resta neutrale in termini di progettazione dei prodotti finanziari. “Non prescrive alcun elemento, come la composizione degli investimenti o le soglie minime d’investimento”, conclude Bofa, né tantomeno determina gli stili d’investimento ammissibili, le strategie o le metodologie da impiegare. “Pertanto, i prodotti finanziari soggetti all’art. 8 possono continuare ad applicare diverse pratiche, strumenti o strategie di mercato”, dall’esclusione agli investimenti tematici.
Quando segnalare gli impatti negativi?
A partire dal 30 giugno 2021, la Sfdr richiede ai partecipanti dei mercati finanziari con più di 500 dipendenti di pubblicare e aggiornare sui propri siti web una dichiarazione sulle loro politiche in materia di due diligence rispetto ai principali impatti negativi nelle decisioni d’investimento sui fattori di sostenibilità. Quando si tratta di partecipanti ai mercati finanziari che sono imprese madri di un grande gruppo, il criterio dei 500 dipendenti tiene conto del numero di soggetti presenti anche nell’impresa figlia, indipendentemente dal fatto che siano stabilite all’interno o all’esterno del territorio dell’Unione. La dichiarazione di due diligence, invece, dovrebbe riguardare solo le attività dell’impresa madre e non del gruppo nel suo insieme.