Il dato più atteso dal mercato questo mese ha offerto segnali assai limitati sul fatto che l’inflazione americana stia rallentando nelle sue componenti più coriacee. Nel confronto fra dicembre e gennaio i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,5%, aumentando il passo rispetto all’aumento dello 0,1% del mese precedente, con un abbassamento nel confronto annuo dal 6,5 al 6,4%. La gran parte degli aumenti, ha affermato il Census Bureau, è da attribuire ai costi abitativi che, con un incremento su dicembre dello 0,7%, pesato per “quasi la metà dell’incremento mensile generale”. Secondo alcuni economisti, come Robert Frick della Navy Federal Credit Union, il contesto dei tassi dovrebbe esercitare a breve un freno sulla corsa dei costi abitativi – che sono considerati un indicatore che reagisce in ritardo rispetto all’andamento generale dell’inflazione.
“Il market mover di breve è stato il dato sui non farm payrolls che ha mostrato un mondo del lavoro statunitense molto forte con una ottima creazione di posti di lavoro e una salita costante dei salari che butterà ulteriore fuoco sulle pressioni inflazionistiche. Il dato odierno sull’inflazione di gennaio, nonostante abbia mostrato un rallentamento minore rispetto alle aspettative, non modifica l’outlook di breve sulle prossime mosse della Federal Reserve”, ha commentato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich. “Al momento il mercato sconta due possibili rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve di 25 punti base e un possibile taglio del costo del denaro a fine 2023”, ha aggiunto Diodovich, “le nostre aspettative sono più hawkish rispetto a quelle del mercato (3 rialzi da 25 pb nelle riunioni di marzo, maggio e giugno, e nessun taglio del costo del denaro nel 2023)”.
Il dato sull’inflazione Usa di gennaio è risultato abbastanza in linea con le attese degli analisti e ha avuto un impatto limitato sul cambio euro dollaro che si è mantenuto in rialzo dello 0,29% a quota 1,0758, per poi tornare piatto nei minuti successivi. Prima dell’apertura di Wall Street i future sui maggiori indici azionari si sono mossi in modo ondivago oscillando fra rialzo e ribasso – segno di una lettura che offre segnali contrastanti e non chiari su quanto accadrà in seguito alla politica monetaria della Federal Reserve. Nell’apertura di Borsa sono prevalsi i sentimenti negativi, in particolare sul Nasdaq Composite che ha ceduto lo 0,8%, mentre l’S&P 500 ha aperto in calo dello 0,52%.
“I mercati hanno reagito in modo confuso alla pubblicazione del dato visto che il dato odierno non cambia le prospettive sulle mosse di breve della Fed”, ha dichiarato Diodovich, “sarà necessario aspettare ulteriori dati (in particolare imflazione indice core Pce e Non farm payroll di febbraio) per avere maggiori input per determinare le scelte del Fomc di marzo” Tuttavia, dopo un’ora dalla pubblicazione del dato, tra gli investitori sembra aumentare il senso di pericolo legato a pressioni inflazionistiche che rimangono elevate (indici azionari in calo soprattutto quello tecnologico più sensibile alle azioni sui tassi, acquisti sul dollaro)”.
“L’inflazione statunitense è stata ampiamente in linea con le previsioni di consenso, meglio di quanto temuto a causa di alcuni recenti indicatori ad alta frequenza. Questa è la buona notizia. Quella meno buona: ogni misura dell’inflazione è ancora troppo alta (a livelli ritenuti impensabili da molti un anno fa) in salita su base mensile”, ha commentato su Twitter l’economista Mohamed El-Erian (Allianz).
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Dentro ai dati dell’inflazione Usa
La componente energetica, che era rallentata con decisione a dicembre, non ha subito grandi variazioni su base mensile, anzi, è tornata ad aumentare del 2% (con un +8,7% su base annua).
L’inflazione di fondo, che esclude le componenti più volatili del paniere è cresciuta mese su mese dello 0,4%, in continuità con il mese precedente, segnando un tasso annuo del 5,6%.
Il costo dei servizi, particolarmente rilevante per comprendere l’eventuale impatto degli aumenti salariali sui prezzi applicati dalle aziende ai consumatori, è aumentato dello 0,5% su base mensile, in continuità con i dati registrati da ottobre in avanti.
I risultati mostrano come la battaglia contro l’inflazione sia ancora in corso, in linea con quanto affermato nelle ultime dichiarazioni pubbliche dal presidente della Fed, Jerome Powell: “C’è l’aspettativa che il problema [dell’inflazione] si risolva in modo rapido e indolore, ma non credo che questo sia affatto garantito“, aveva detto Powell lo scorso 7 febbraio.
Rispetto a dicembre gli americani hanno pagato di più per acquistare beni e servizi in quasi tutte le categorie principali catalogate dall’ufficio di statistica, con le uniche eccezioni delle auto usate (-1,9% mensile, -11,6% annuo grazie alla normalizzazione dell’offerta delle auto nuove dopo la crisi dei semiconduttori) e dei servizi medici (-0,7% mensile e rialzo del 3% annuo).