In tale contesto, i principali modelli ibridi di organizzazione societaria, in quanto posizionati a metà strada tra lo scopo puramente filantropico e quello essenzialmente commerciale, sono rappresentati dalle imprese sociali, dalle imprese innovative a vocazione sociale e dalle società benefit.
Ai sensi dell’art. 1 D.lgs. 112/2017, possono acquisire la qualifica di imprese sociali tutti quegli enti privati che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti, e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività.
Quindi, può considerarsi imprenditore sociale chi esercita un’attività economica organizzata, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi di utilità sociale, e diretta a realizzare finalità di interesse generale.
Le imprese sociali in forma di società di capitali possono procedere alla distribuzione degli utili, seppur con forti limitazioni, al fine di favorire l’accesso di capitali di rischio e attrarre investimenti. Inoltre, le imprese sociali rappresentano un interessante veicolo che consente agli enti del terzo settore di aprirsi a forme di investimento nel capitale sociale, reperendo fonti di finanziamento alternative e complementari.
Un altro modello ibrido, particolarmente interessante, è rappresentato dalle imprese innovative a vocazione sociale di cui all’art. 25 D.lgs. 179/2012 (cosiddette Siavs), ovvero startup che operano in via esclusiva nei settori di attività delle imprese sociali direttamente individuati dalla legge.
Si tratta di una particolare forma di società di capitali avente la finalità di promuovere lo sviluppo tecnologico e la creazione di una nuova cultura imprenditoriale volta all’innovazione in settori di particolare impatto sociale, quali, ad esempio, l’assistenza sociale e sanitaria, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, l’inserimento lavorativo, la formazione universitaria, ecc.
Esse si caratterizzano per il divieto assoluto di distribuzione degli utili per i primi 5 anni di vita della società e l’obbligo di redazione, ai fini del mantenimento della qualifica, del “documento di descrizione di impatto sociale”, diretto a dare evidenza dell’impatto sociale generato dalla società.
Anche in questo caso sono previste importanti agevolazioni fiscali per chi investe in imprese innovative a vocazione sociale, come, ad esempio, la possibilità di portare in detrazione o deduzione, a seconda che si tratti di soggetto Irpef o Ires, il 30% dei conferimenti nel capitale sociale di una o più startup innovative, purché l’investimento venga mantenuto per almeno 3 anni e realizzato entro determinati limiti.
Da ultimo, vi è il modello delle cosiddette benefit corporation (si tratta delle B Corp e delle società benefit ai sensi della Legge 208/2015), società che integrano un purpose socio-ambientale e profitto, in modo da coniugare la creazione di valore economico con la generazione di impatti sociali e ambientali positivi e misurabili.
La qualifica di società benefit può essere acquisita da qualsiasi società e comporta l’indicazione nell’oggetto sociale delle finalità di beneficio comune che si intende perseguire, la nomina di un responsabile dell’impatto, nonché l’obbligo di rendicontare e misurare il perseguimento di detto beneficio.
Tali società operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse, bilanciando gli interessi dei soci con quelli dei vari stakeholder.