Il cambio di passo della Federal Reserve ha corroborato movimenti rialzisti sul dollaro e ribassisti sulle materie prime. Ma quanto di queste oscillazioni di mercato è strutturale? Ne abbiamo parlato con il professor Stefano Caselli (Università Bocconi)
Di fatto non è successo ancora nulla: i tassi di riferimento Usa sono rimasti fermi nella forchetta 0%-0,25% e l’acquisto titoli da parte della Fed è fermo al ritmo di 120 miliardi di dollari al mese. Eppure, la virata della banca centrale americana c’è stata, almeno nelle intenzioni. Mercoledì 16 giugno 2021 Jerome Powell in conferenza stampa ha annunciato che il board dell’istituto prevede almeno due rialzi dei tassi nel 2023, a fronte di una ripresa interna migliore del previsto. Allo stesso modo, si è detto che i funzionari Fed inizieranno a discutere un assottigliamento delle mensili iniezioni di liquidità (Qe) nel sistema in un lasso di tempo ragionevole.
La reazione più immediata è stata forse quella della liquidazione delle posizioni reflazionistiche di alcuni investitori, preoccupati dalle prospettive di restringimento della politica monetaria. E poi quella del dollaro, tornato a mostrare segni di apprezzamento
nei confronti delle altre valute.
«Sono gli Usa che ritornano sulla scena mondiale», commenta il professor Stefano Caselli, prorettore per le attività internazionali dell’università Bocconi di Milano. La verità però è che «si stanno sopravvalutando i segnali che arrivano dall’America: in un mondo di tassi piatti ogni soffio d’aria conta. È però vero che il paese si sta riprendendo un seggio centrale nel sistema del mondo e si sta tornando a guardare al biglietto verde come a una valuta di riferimento». Tuttavia, «ritengo eccessivo parlare di dollaro forte, siamo di fronte a oscillazioni. Non direi che si è in presenza di una tendenza definitiva e strutturale: personalmente, resterei cauto».
Emerge in questo contesto una differenza rispetto all’Europa, che non lascia intravedere nemmeno lontanamente un rialzo dei tassi che sarebbe pericoloso in questo frangente, prosegue il docente.
Il fatto è che «l’economia Usa ha mostrato delle fiammate di ripresa rispetto a quella europea. Biden sta supportando il pil nazionale con aiuti che sono multipli rispetto al recovery fund Ue. È come se la Fed stesse scontando il fatto che l’economia ripartirà senza nessun intoppo, mentre la Bce è ancora cauta. Del resto, le previsioni degli analisti sul cambio euro – dollaro sono ancora molto stabili. Saremo in grado di dare previsioni “definitive” una volta superata l’estate. A fine settembre ci sarà il vero checkpoint sulla ripresa».
Di fatto non è successo ancora nulla: i tassi di riferimento Usa sono rimasti fermi nella forchetta 0%-0,25% e l’acquisto titoli da parte della Fed è fermo al ritmo di 120 miliardi di dollari al mese. Eppure, la virata della banca centrale americana c’è stata, almeno nelle intenzioni. Mercoledì 16 g…
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