I
private market sono sulla cresta
dell’onda. E non a caso: nell’attuale congiuntura economica
di particolare incertezza e con
inflazione alle stelle, rappresentano il viatico per aumentare la
performance di portafoglio. Ma
la parabola ascendente è destinata a restare nel lungo termine,
secondo Jean-Pierre Di Benedetto, managing partner per l’Italia
di Argos Wityu, gruppo di Private
Equity indipendente, di respiro
europeo (sei sedi e altrettanti team nel Vecchio Continente), il cui
focus è sulle operazioni primarie
tramite l’acquisizione di partecipazioni di maggioranza.
Il ruolo del private market in portafoglio
“Il ruolo dei private markets (private equity in primis, ma anche gli altri comparti) negli ultimi decenni è passato da marginale a fondamentale nell’econcosistema economico-finanziario – dice Di Benedetto a We Wealth – Oggi una parte non trascurabile dell’economia, infatti, interagisce col private market: come azionista o come finanziatore, per esempio. Bisognerebbe considerare che storicamente i private market hanno avuto performance migliori degli indici azionari pubblici. In particolare nei periodi di alta volatilità o recessione: il rischio maggiore attribuito al private equity è dunque un luogo comune da smentire”. Gli investimenti in private market e in Pe in particolare mostrano, secondo Di Benedetto, delle solide capacità difensive e costituiscono una valida alternativa d’investimento in periodi di crisi. “La struttura di governance degli investimenti in private equity permette, da un lato, una reattività maggiore a stimoli o shock esterni negativi e, dall’altro, consente di gestire le aziende con una prospettiva di vero lungo termine, cosa che non sempre è possibile per le società quotate, che risentono della pressione a performare, con una revisione e uno scrutinio trimestrale – o addirittura quotidiano – da parte dei mercati pubblici”. Inoltre, molto spesso il focus su pochi investimenti in specifici settori consente all’investitore in private equity di investire in società leader di mercato con prodotti differenziati che garantiscono un forte pricing power.
Performance interessanti anche in futuro
È quello che permette, in tempi di inflazione, di passare a valle gli incrementi di prezzo che si subiscono a monte. “Ecco perché ritengo che il private equity continuerà a registrare performance più interessanti rispetto ai mercati pubblici, anche in tempi di inflazione o rallentamento dell’economia; questo vale specialmente nei modelli di private equity che non fanno uso esasperato della leva finanziaria”, continua Di Benedetto. Quale quota di private market va inserita in portafoglio? “La risposta a questa domanda è molto difficile, perché è dipendente dal profilo del singolo investitore – risponde Di Benedetto – tuttavia, in termini generali, gli investitori nel private market sono stati sempre quelli con liability (passività) a lungo termine o comunque con un profilo temporale molto dilatato, che quindi trovano nella performance e tempistica del private equity – per sua natura di lungo termine – un ottimo impiego: per esempio assicurazioni, fondi pensione, fondazioni universitarie. Questo tipo di investitori, specialmente all’estero, ha infatti una quota importante dei loro attivi investiti in private market e investimenti alternativi. Anche l’Europa e l’Italia lentamente sono riuscite ad allinearsi a questo quadro”. L’Europa e anche l’Italia si sta aprendo agli investimenti alternativi, che diventano nel nostro Paese sempre più democratici (prova ne sia l’abbassamento della soglia per entrare nei Fia a 100mila euro).