I fondi tematici si presentano spesso con l’obiettivo di cavalcare nuove tendenze estremamente promettenti nel lungo periodo: l’intelligenza artificiale, le auto elettriche, le esplorazioni spaziali, solo per nominarne alcune. A dispetto del loro orizzonte temporale così esteso, molti di questi fondi hanno in realtà vita breve. Secondo i dati Cfra Research, un quarto dei tutti gli Etf che hanno chiuso i battenti nel 2020 non aveva più di tre anni di vita. Quando un fondo chiude, di solito è perché non ha raccolto sufficienti risorse dal mercato e i costi del suo mantenimento non appaiono più giustificati. Questo problema, però, non riguarda solo i gestori. L’evidenza degli ultimi anni, com’è possibile osservare dal grafico in basso, è che in rapporto ai nuovi Etf lanciati, gli Etf tematici abbiano un maggiore “tasso di mortalità”.
Il calo nell’aspettativa di vita degli Etf tematici diventa particolarmente dannosa, se si considera che nei primi anni di vita questi fondi sono statisticamente portati a registrare performance molto negative. Uno studio pubblicato nel 2022 su Review of financial studies, “Competition for Attention in the ETF Space”, aveva mostrato come, nei cinque anni successivi al lancio, il fondo tematico aveva registrato una performance inferiore alla media, pari al -6% annuo. Alla fine del quinto anno, dunque, gli Etf tematici lascerebbero sul terreno circa il 30% rispetto alla media del mercato.
Perché i fondi tematici attirano, nonostante tutto
Con questa drammatica probabilità di insuccesso, perché i fondi tematici continuano ad essere un argomento ricorrente dell’offerta promossa pubblicamente dai gestori? Un elemento da considerare è che questi fondi permettono “raccontare una storia”, di sostenere una narrazione legata suggestioni più o meno realistiche sulla società (e il business) del domani. Ad esempio, una società in cui le esplorazioni spaziali saranno un business esteso e redditizio o nella quale le auto andranno a idrogeno.
Con uno storytelling più avvincente, inoltre, i gestori più piccoli cercano di guadagnare una visibilità che farebbero fatica a ottenere con Etf più tradizionali: quelli che replicano indici di largo utilizzo come l’S&P 500 e l’Msci World, la cui domanda è assorbita dai grandi colossi del risparmio. Non ultimo, l’Etf tematico è mediamente molto più costoso per il cliente, rispetto a un Etf che copia un indice generico: nel mercato statunitense, si legge nello studio, l’Etf tematico costa circa sei volte di più. Questo elemento potrebbe spingere i gestori a estrarre maggiore valore dal prodotto, facendo pagare al cliente l’esclusività di un determinato approccio (al contrario, il confronto sugli Etf tradizionali è dominato dalla ricerca dei costi più bassi).
Concentrare una piccola parte della strategia su tematiche specifiche potrebbe essere una scommessa accettabile, in un’allocazione diversificata. Ma quando si parla di fondi tematici dedicati alle ultime novità del momento, il rischio è tutto nel tempismo. Nei mesi che intercorrono fra la comparsa di un nuovo trend e l’arrivo dell’Etf tematico sul mercato, le azioni potenzialmente beneficiarie sono spesso già decollate in Borsa – e il nuovo Etf è costretto ad acquistarle a caro prezzo. Per questo i fondi tematici, secondo la ricerca, sarebbero esposti a performance inferiori alla media soprattutto nei primi anni di vita. A penalizzare questi fondi non sono quindi i costi mediamente superiori: dei 30 punti percentuali “persi” nei primi cinque anni di vita dell’Etf tematico, rispetto alla media del mercato, ben 27 dipenderebbero dall’acquisto di asset sopravvalutati e solo 3 dai costi più elevati.
Secondo i dati raccolti dagli autori gli investitori che puntano sugli Etf tematici sono più inclini alle speculazioni di breve periodo. Di conseguenza “è possibile che, anche in assenza di Etf specializzati, questi investitori allocherebbero comunque il loro denaro in modo inefficiente”. Allo stesso tempo, hanno sottolineato gli economisti, “la nostra evidenza suggerisce che gli Etf specializzati sembrano rivolgersi a investitori troppo ottimisti”, quelli più inclini a pensare che i rialzi già osservati in passato sul settore siano indicativi dell’andamento futuro.
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