Con l’ultima Legge di Bilancio e il nuovo Regolamento Mica (“Market in Crypto Asset”), ha trovato piena regolamentazione sul piano fiscale il fenomeno della detenzione delle cripto-attività, mediante la loro inclusione nel quadro impositivo dei redditi delle persone fisiche e l’individuazione di una cornice normativa uniforme a livello europeo per la negoziazione dei cripto-asset nei mercati. Era da tempo necessario, infatti, un apparato normativo che garantisse, tanto sul piano nazionale quanto su quello europeo, stabilità e uniformità nella regolamentazione di un fenomeno in continua crescita.
Occorre tuttavia domandarsi quali siano i rischi configurabili da un punto di vista penale-tributario rispetto alla detenzione non dichiarata di cripto-attività. E ciò, in particolare, anche in ragione del fatto che la nuova Legge di Bilancio ha previsto una forma di sanatoria di tipo fiscale per le cripto-attività, senza però disciplinare un corrispondente “scudo penale” per le posizioni dei relativi contribuenti.
Ciò premesso, i principali rischi di tipo penale-tributario si perimetrano attorno alla configurabilità di due fattispecie criminose: il reato di dichiarazione infedele e quello di omessa dichiarazione, rispettivamente disciplinati dagli articoli 4 e 5 del D.lgs. n. 74/2000 (sul presupposto che la detenzione non sia supportata da condotte di tipo artificioso, trovando altrimenti luogo il più grave reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 3 D.lgs. n. 74/2000).
Quanto alla prima di queste due fattispecie, l’articolo 4 punisce chiunque indichi, in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti, al ricorrere congiunto di determinate soglie di punibilità. In questo caso, lo scenario ipotizzabile è quello della presentazione di una dichiarazione Irpef da parte di un soggetto che, nei periodi di imposta precedenti al 2022, abbia già dichiarato reddito in Italia senza tuttavia indicare quello derivante dalla detenzione delle cripto-attività.
Venendo alla seconda fattispecie criminosa, l’articolo 5 del D.lgs. n. 74/2000 punisce chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, omette di presentare una delle relative dichiarazioni – tra cui le dichiarazioni Irpef e Iva, con conseguente evasione d’imposta superiore alla soglia di punibilità fissata nell’importo di cinquantamila euro. Per quanto concerne questa fattispecie, il rischio di una contestazione di carattere penale è legato all’ipotesi di un soggetto che, non avendo mai dichiarato reddito in Italia, aderisce alla regolarizzazione della propria posizione fiscale disciplinata dalla nuova Legge di Bilancio 2023, indicando l’esistenza di redditi derivanti dalla detenzione di cripto-attività, nonostante l’omissione della relativa dichiarazione Irpef nei precedenti peiodi di imposta. Degno di nota, in ogni caso, è il fatto che sembra ipotizzabile l’applicazione anche a questa materia della causa di non punibilità disciplinata dall’articolo 13, co. 2, D.lgs. n 74/2000. Ovvero la causa di non punibilità per alcuni reati tributari, fondata sul presupposto che il debito tributario sia stato estinto mediante integrale versamento degli importi dovuti, a seguito di ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo e che il contribuente non sia a conoscenza della pendenza di un processo penale o dell’inizio di attività di verifica fiscali.
Non vi è dubbio, in ogni caso, che se sul piano fiscale la detenzione di cripto-attività sta trovando stabilità e uniformità dal punto di vista della disciplina regolamentare, per quanto concerne le possibili ripercussioni sul piano penalistico occorrerà attendere la configurazione dei primi casi concreti.
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