Il legislatore italiano è recentemente intervenuto sul tema del bilancio della holding, approvando la legge n. 238 del 23 dicembre 2021 che ha recepito alcune previsioni contenute nella direttiva 2013/34/Ue in materia di bilancio d’esercizio e bilancio consolidato.
I benefici di una holding famigliare
Come noto e come premessa introduttiva, si ricorda che i benefici di avere una holding familiare posta al vertice di un gruppo possono essere suddivisi come segue:
- amministrativi: tramite la concentrazione delle funzioni amministrativo-contabili in capo alla holding è possibile garantire una maggior efficienza e qualità dei servizi prestati alle società del gruppo ottimizzandone il costo;
- finanziari: la distribuzione delle risorse finanziarie all’interno della holding risulta razionalizzata, beneficiando di una politica di dividendi predefinita (anche mediante specifici accordi statutari e/o parasociali) e coordinata con le varie esigenze del gruppo. Ciò garantisce l’ottenimento di un miglior rating bancario e, conseguentemente, della capacità di indebitamento, anche in favore delle società del gruppo;
- fiscali: fra le varie opportunità offerte dall’utilizzo dello strumento societario della holding, si ricorda la possibilità di fruire del regime del consolidato fiscale (garantendo un’efficienza dei flussi finanziari all’interno del gruppo) e dell’Iva di gruppo, nonché del regime della participation exemption nella cessione delle partecipazioni. Non si dimentichi, peraltro, l’impiego ormai sempre più diffuso della società quale veicolo per l’investimento in “club deal”, considerata la fiscalità più efficiente rispetto all’investimento diretto.
Cosa prevede il comma 5 dell’art. 2435 ter del c.c
Fatta questa premessa, le questioni di interesse concernenti la redazione dei bilanci delle holding sono contenute in particolare nell’art. 24, comma 2, lettera c), che ha aggiunto all’art. 2435 ter del c.c. il seguente nuovo comma 5: «Agli enti di investimento e alle imprese di partecipazione finanziaria non si applicano le disposizioni previste dal presente articolo, dal sesto comma dell’articolo 2435 bis e dal secondo comma dell’articolo 2435 bis con riferimento alla facoltà di comprendere la voce D dell’attivo nella voce CII e la voce E del passivo nella voce D».
In altre parole, il citato comma 5 dell’art. 2435 ter del c.c. prevede che agli enti di investimento e alle imprese di partecipazione finanziaria non si applicano le disposizioni previste dall’art. 2435 ter c.c.: ciò comporta che, a prescindere dal rispetto o meno dei requisiti di cui all’art. 2435 ter c.c. (“Sono considerate micro-imprese le società di cui all’articolo 2435 bis che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità”), gli enti di investimento e le imprese di partecipazione finanziaria non potranno più redigere il bilancio secondo il modello delle micro imprese.
Tali categorie di imprese dovranno, di conseguenza, presentare il bilancio ordinario o il bilancio abbreviato corredato anche della relazione sulla gestione (Cfr. Manuale operativo per il Deposito Bilanci al Registro delle Imprese, Campagna bilanci 2023, Unioncamere ).
Inoltre, l’inapplicabilità dell’art. 2435 ter non impatta solo sulla forma del bilancio ma anche sul suo contenuto in quanto l’articolo contiene anche disposizioni riguardanti taluni criteri di valutazione e alcuni effetti fiscali.
È bene quindi indagare quale sia l’ambito soggettivo di applicazione di questa nuova norma prevista dal comma 5 dell’art. 2435 ter del c.c. perché nel caso riguardasse anche le holding – o alcune tipologie di esse – queste imprese non potrebbero più redigere il bilancio micro. La questione è senza dubbio molto delicata in quanto le holding sono molto diffuse e frequentemente non superano i limiti dimensionali previsti dall’art. 2435 ter c.c..
Difatti è bene evidenziare che le holding spesso non superano i limiti dimensionali previsti ai fini dell’applicazione delle semplificazioni previste per le micro imprese non tanto per la soglia dell’attivo – che sovente è superata – quanto per il fatto che le stesse (i) non sono generalmente dotate di personale dipendente (o ne hanno uno o due) e (ii) non generano ricavi tali da superare la soglia dei 350.000 euro. Difatti i componenti di reddito tipici di tali soggetti, cioè i dividendi, sono rilevanti nelle voci di classe C come definito dall’Oic 12.
Gli enti di investimento e le imprese di partecipazione finanziaria: cosa sono
Entrando nel vivo della questione, per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione della norma in commento, il legislatore fa espresso riferimento a due tipologie di soggetti:
- gli enti di investimento;
- le imprese di partecipazione finanziaria.
È bene sottolineare che nell’ordinamento italiano non esiste una definizione né di ente di investimento né tantomeno di imprese di partecipazione finanziaria.
In prima battuta si potrebbe ritenere che le imprese di partecipazione finanziaria risultino essere le holding finanziarie e industriali di cui all’art. 162 bis lett. b) e lett. c) del Tuir; tuttavia poiché i termini “enti di investimento” e “imprese di partecipazione finanziaria” che hanno modificato l’art. 2435 ter del c.c. sono stati direttamente introdotti da una normativa di matrice comunitaria, come sostenuto da autorevole dottrina, tali definizioni non sono sovrapponili con la definizione domestica di cui all’art. 162 bis lett. b) e lett. c) del Tuir. Inoltre, la relazione illustrativa del Ddl ha precisato che, per la definizione di tali enti e imprese, si rimanda alla direttiva 2013/34/UE.
Si rende necessario quindi seguire la definizione definita direttamente nella direttiva 2013/34/Ue che definisce al punto 14 dell’art. 2 gli “enti di investimento” e al punto 15 dell’art. 2 le “imprese di partecipazione finanziaria”, come di seguito riportato:
Dove si collocano le holding
La casistica di interesse per le holding è quindi quella ricompresa nella definizione del punto 15 dell’art. 2, della direttiva 2013/34/Ue. È evidente che la definizione di cui al punto 15 non collima con la definizione di holding di cui all’art. 162 bis del Tuir, così come anche sottolineato da Assoholding nella circolare 1/2022.
Secondo autorevole dottrina, dovrebbero rientrare tra le imprese di partecipazione finanziaria di cui al punto 15 e quindi richiamate dal nuovo comma 5 dell’art. 2435 ter del c.c. le holding cosiddette statiche o pure, cioè quelle holding che hanno come unico scopo la detenzione di partecipazioni e che si limitano ad amministrare in senso statico le quote possedute. Tali holding, quindi, non potranno redigere il bilancio micro.
Viceversa, dovrebbero risultare escluse dall’ambito applicativo del nuovo comma 5 dell’art. 2435 ter del c.c. e quindi possono continuare a redigere il bilancio micro nel caso rispettino i requisiti quelle holding:
- che esercitano anche un’altra attività rispetto all’assunzione di partecipazioni, quali attività imprenditoriali e di gestione di immobili (cosiddette holding miste);
- che erogano servizi di carattere amministrativo alle controllate;
- che partecipano, anche indirettamente, alla gestione delle partecipate come avviene quando il socio della holding è parte dell’organo amministrativo della controllata.
Infine, visto che l’inciso del punto 15 recita testualmente che non vi devono essere “coinvolgimenti diretti o indiretti”, dovrebbero essere escluse dalle nuove previsioni e quindi continuare a redigere il bilancio micro (nel rispetto dei requisiti dimensionali) anche quelle holding che esercitano attività di direzione e coordinamento sulle partecipate purché vi sia un coinvolgimento nella gestione operativa delle partecipate e nelle decisioni del consiglio di amministrazione (Cfr. Circolare 1/2022 Assoholding).
(Articolo scritto in collaborazione con Amedeo Cesaro e Pietro Cabrini, dottori commercialisti collaboratori dello Studio Righini e Associati)
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