I consulenti faticano a integrare la previdenza complementare nel proprio Dna. Eppure, potrebbe rappresentare una base di raccolta costante nel tempo
Vavassori: “Oggi il 60% dello storytelling della formazione sulla previdenza complementare si basa sulla situazione dell’Inps. La narrazione va cambiata
Quarantacinque anni. È l’età alla quale un giovane che iniziasse a lavorare adesso raggiungerebbe una totale autonomia finanziaria. In altre parole, i genitori dovrebbero aiutarlo economicamente ancora per un bel po’. Ma non dev’essere necessariamente così. O meglio, c’è un modo per garantire ai figli dei propri clienti un “tesoretto” cui attingere nel corso della propria vita, oltre che al momento della pensione (ormai un miraggio): la previdenza complementare. Ma come va fatta una corretta pianificazione previdenziale? E perché i consulenti faticano a integrarla nel proprio Dna? Partiamo da qui.
“La tematica ha una doppia faccia”, spiega Nadia Vavassori, responsabile fondi pensione aperti di Amundi Sgr. “Innanzitutto, quando si parla di pensione complementare e prima di tutto di pensione, in molti hanno le idee confuse. Sia che sia per sé stessi, sia che sia per qualcun altro (come i propri figli). E questo per dei dati oggettivi: da una parte è un tema che richiama nella testa degli italiani un problema collegato con l’invecchiamento, che la mente rifiuta, e dall’altra parte c’è una normativa in continua evoluzione con cui si fatica a tenere il passo”. In questo processo, continua Vavassori, il consulente ha un ruolo fondamentale, dovendosi occupare a 360° della pianificazione finanziaria del cliente. Come? Tutto parte dalla formazione, dice l’esperta. Una formazione permanente, diversa da quella attuale. “Oggi il 60% dello storytelling della formazione sulla previdenza complementare si basa sulla situazione dell’Inps, su cui nessuno vuole metterci né la testa né le mani. Per cui la narrazione va interamente cambiata”, suggerisce Vavassori.
I vantaggi del fondo pensione
“Innanzitutto, quando i giovani si affacciano al mondo dell’investimento, il primo canale che utilizzano per raccogliere informazioni sull’argomento è la famiglia. Se vogliamo quindi insegnare loro a investire per coprirsi dal rischio longevità, dobbiamo parlare in primis con i genitori. Poi, quando ci si interfaccia con i figli, occorre modificare il lessico. Se ai giovani spieghi che c’è un investimento che gode di agevolazioni fiscali sulla tassazione dei rendimenti, che quando un domani avranno un’attività lavorativa potranno convogliare anche il Tfr e i versamenti del datore di lavoro, che è una forma di partecipazione concreta e attiva di investimento sostenibile, ottieni la loro attenzione”. È un investimento che consente di attingere al montante accumulato per sostenere momenti della propria vita, come l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa, ma per questo è necessario aver maturato un’anzianità di iscrizione di almeno otto anni. Ragione in più per iniziare prima possibile. Aprendo un fondo pensione al proprio figlio al momento della nascita, per esempio, da adolescente potrà attingere al gruzzolo per finanziare il proprio percorso di studi.
“Di fatto, le nuove generazioni non potranno ambire a un sistema previdenziale statale se non al superamento dei 70 anni. Ciò significa che siamo seduti su una sorta di bomba a orologeria”, interviene Nicola Ronchetti, founder & ceo di Finer Finance Explorer. “Quindi, tutto quello che riguarda la previdenza complementare dovrebbe essere il mantra di consulenti finanziari e private banker. Ma non è così. Si tende a parlare prevalentemente di investimenti e gestione del risparmio senza le fondamenta: prima di tutto la protezione sui principali rischi (malattia, perdita dell’autosufficienza, casa), poi bisognerebbe occuparsi del tema della previdenza integrativa e solo in terza battuta degli investimenti”, sostiene Ronchetti. Senza dimenticare che i prodotti di previdenza sono abbastanza inelastici alle performance, essendo di lunghissimo periodo, ma il patrimonio cresce costantemente; quindi, anche dal punto di vista del conto economico, per il consulente può rappresentare una base di raccolta altrettanto costante nel tempo.
Previdenza: il caso di Banca Mediolanum
Un esempio distintivo nel panorama italiano delle reti di consulenza è quello di Banca Mediolanum, il cui approccio non parte dal prodotto ma da un’analisi della condizione dell’individuo e, se presente, del suo nucleo familiare, per poi atterrare alla soluzione più coerente rispetto ai bisogni e progetti di vita che emergono attraverso una relazione di fiducia e continuità nel tempo con il suo professionista di riferimento. “Oggi il risparmiatore è una persona con delle fragilità, dei bisogni che si stanno dilatando nel tempo e dei progetti di vita”, dice Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum. “Un professionista si deve ovviamente adoperare perché i progetti delle persone di cui si occupa si realizzino, ma il vero tema della consulenza finanziaria, secondo me, si gioca in un altro ambito, ovvero quello delle fragilità e dei bisogni”.
Sulle fragilità il nostro Paese sconta un gap terribile, continua Volpato. Oggi sono poche le persone consapevoli del fatto che il futuro della loro famiglia si gioca sulla capacità di produrre reddito nel tempo e sul fatto che parte di questo reddito diventerà risparmio attraverso il quale si potrà pianificare un futuro felice. “Anche dei bisogni si ha scarsa consapevolezza, o meglio, si fatica a immaginarseli nel futuro”, afferma Volpato. “Tutti noi invecchieremo e ci dovremo confrontare con una versione di noi trasformata da discontinuità che si fa fatica a immaginare con decenni di anticipo. Quanto vivremo? Impossibile dirlo. L’unica certezza è che dobbiamo mantenere la sostenibilità del nostro tenore di vita e di tutte le garanzie conseguenti fino a quando ci saremo. La bella notizia è che le risorse per far fronte a questi bisogni ci sono. In Italia siamo leader al mondo sia per lo stock accantonato, con una ricchezza finanziaria intorno ai 5.700 miliardi, sia per la capacità di risparmio, con un tasso medio del 15%. Dobbiamo riuscire a guardare alla nostra vita comprendendone le discontinuità”.
Articolo tratto dal n° di febbraio di We Wealth.
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