Per fare qualche esempio limite, è stato ritenuto rientrante nel debito volto a soddisfare i bisogni della famiglia, il credito previdenziale e quello tributario con la conseguenza che i beni vincolati nel fondo potevano essere assoggettati a esecuzione forzata.
Ciò ha caratterizzato il trend interpretativo, pressoché degli ultimi decenni di giurisprudenza. Tale orientamento ha avuto di recente una battura d’arresto con una pronuncia della Cassazione civile sez. I, 27/04/2020, n.8201, la quale ha affermato che “se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale”.
In verità con questa pronuncia si è distinto fra bisogno indiretto della famiglia, non legittimante il pignoramento sui beni del fondo, e bisogno non restrittivo, legittimante, invece, l’esecuzione sui beni del fondo.
In particolare, viene precisato il principio secondo il quale una volta costituito il fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti – il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo stesso – andrà ricercato, non già nella natura delle obbligazioni (legale o contrattuale), ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia.
La pronuncia appare innovativa soprattutto per un aspetto processuale che attiene alla prova che si deve offrire nel procedimento di opposizione all’esecuzione sui beni del fondo, anche per presunzioni semplici, per sostenere l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia, negando l’iscrizione dell’ipoteca iscritta sui beni vincolati nel fondo patrimoniale, ribadendo, a proposito del concetto dei bisogni familiari, che gli stessi non possono intendersi come potenzialmente assorbenti tutti i redditi del soggetto obbligato.
Nella motivazione della decisione, viene precisato che non sussiste un dovere generalizzato dei coniugi di destinare tutti proventi della propria attività lavorativa (o i redditi da capitale) ai bisogni della famiglia e che l’esecuzione sui beni del fondo, o sui frutti di esso, può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano “inerenza diretta ed immediata con i predetti bisogni”.
È stato osservato che, se il creditore è l’erario, che non ha rapporti personali con il debitore e non ne conosce la situazione familiare e personale se non per quanto emerge dagli atti fiscalmente rilevanti e dal regime legale della famiglia (primario e secondario), è giocoforza affidarsi a presunzioni semplici fondate sui fatti oggettivamente rilevanti, al loro inquadramento nella disciplina del regime patrimoniale della famiglia, e alle conclusioni che se ne possono trarre secondo un processo logico deduttivo.
Sulla base di questi principi, la sentenza in commento, conclude precisando che deve ritenersi consentito al contribuente che abbia una pluralità di fonti di reddito e, in particolare, una pluralità di partecipazioni societarie, (nel caso specifico srl e sas) di provare, anche per presunzioni semplici, l’estraneità del credito tributario dai bisogni della famiglia e la consapevolezza in capo al fisco di tale estraneità, in ragione del fatto che i redditi destinati alla famiglia provenivano da altre società, non oggetto di accertamento e dalle quali il contribuente non ricavava il sostentamento per la propria famiglia.