Nate per volontà di un individuo o più membri di un nucleo familiare e tipicamente riflesso di valori da tramandare di generazione in generazione. È questo l’identikit delle fondazioni di famiglia, organizzazioni di diritto privato senza scopo di lucro che secondo le ultime stime di Assifero rappresentano la tipologia di fondazione più diffusa a livello italiano, arrivando a costituire ben il 65% dei 170 enti filantropici associati. Tra queste ve ne è una in particolare che racconta la storia di una famiglia i cui valori sono stati così forti da trascendere lo spazio e il tempo: dalla provincia comasca al nord dell’Uganda, dagli anni Sessanta a una mission oggi sempre più viva e sentita. La storia è quella della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital e a raccontarla è Giovanna Ambrosoli, presidente della fondazione e nipote di colui il cui sogno viene realizzato giorno dopo giorno, donazione dopo donazione, padre Giuseppe Ambrosoli.
Come nasce la Fondazione Dr. Ambrosoli e qual è la sua mission?
“La Fondazione Dr. Ambrosoli nasce come un atto di amore e continuità verso l’opera di mio zio padre Giuseppe Ambrosoli, medico e missionario comboniano. La sua storia affonda le radici nella seconda metà del Novecento, quando padre Giuseppe si dedicò a una missione straordinaria: la creazione e lo sviluppo dell’ospedale, nel nord dell’Uganda. Questo luogo, concepito inizialmente come un piccolo dispensario per le cure mediche, divenne nel tempo un centro di eccellenza, capace di offrire assistenza sanitaria e formazione professionale in una delle aree più povere del pianeta. Dopo la morte di padre Giuseppe nel 1987, la sua famiglia, ispirata dalla sua visione e dal suo straordinario impegno, decise di dare forma a un progetto che potesse continuare nel tempo”.
“Nel 1998 nacque così la Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, che ha assunto il compito di sostenere il lavoro dell’ospedale, puntando a garantire cure mediche di qualità e a formare il personale sanitario locale. Con una duplice mission: da un lato, preservare l’eredità umana e professionale di Giuseppe Ambrosoli; dall’altro, contribuire concretamente allo sviluppo sanitario e sociale del territorio. Oggi, grazie al supporto della Fondazione, l’ospedale di Kalongo continua a essere un punto di riferimento per decine di migliaia di persone, dimostrando come una visione di solidarietà e competenza possa superare i confini geografici e temporali”.
Sappiamo che a contraddistinguere le fondazioni di famiglia sono i valori di chi le ha costituite. Quali erano quelli padre Ambrosoli?
“Sicuramente il profondo rispetto per la dignità umana e il diritto universale alla salute, principi che affondano le radici nel patrimonio morale di padre Giuseppe Ambrosoli e della sua famiglia. La sua opera in Uganda, guidata dalla convinzione che la cura e l’assistenza sanitaria debbano essere garantite a tutti senza distinzioni, continua infatti a ispirare la missione della Fondazione. Valori, questi, che non rappresentano solo un’eredità spirituale, ma anche un impegno concreto che la Fondazione porta avanti puntando sullo sviluppo delle competenze locali e sulla promozione di un modello di assistenza sanitaria sostenibile e accessibile. La famiglia Ambrosoli ha sempre coltivato un approccio educativo e culturale basato sulla libertà di pensiero e sull’attenzione verso il prossimo, tratti che si riflettono in ogni attività della Fondazione. Sono valori capaci di unire passato e presente, trasformando un ideale morale in un’azione tangibile per il benessere di comunità vulnerabili”.
Valori che originano dalla famiglia Ambrosoli…
“Senza dubbio. La storia di padre Giuseppe Ambrosoli e della sua famiglia è un esempio di dedizione al prossimo, un valore che ha attraversato generazioni. Nato nel 1923 a Ronago, un piccolo paese della provincia comasca al confine con la Svizzera, Giuseppe è cresciuto in una famiglia numerosa (8 figli nell’arco di 27 anni), che già si distingueva per il supporto offerto al territorio e alla comunità locale. In quel piccolo borgo infatti la vita ha ruotato per decenni attorno all’azienda di famiglia, attiva nella produzione del miele”.
“Tutto aveva avuto origine dal padre di Giuseppe, Giovanni Battista, uno scienziato e sperimentatore che dopo un periodo all’estero era tornato a Ronago per risollevare le sorti dell’azienda agricola familiare, al tempo legata alla coltivazione dei bachi da seta, che stava affrontando un periodo difficile a causa di una crisi generale del settore nel territorio. Giovanni Battista si appassionò invece all’apicoltura, acquistando miele dalla vicina Svizzera. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, tuttavia, le frontiere chiusero e a mio nonno fu impossibile importare questo bene così importante per il sostentamento della famiglia. Pertanto, l’apicoltore di fiducia gli consigliò di iniziare a produrre miele autonomamente: una scelta che si rivelò vincente in virtù delle sue competenze in chimica industriale”.
“Dal giardino di casa, nel corso degli anni l’attività si sviluppò diventando una vera e propria azienda. A non mancare mai fu il legame di Giovanni Battista e dell’intera famiglia con il territorio d’origine e l’attenzione particolare da loro prestata a temi che oggi definiremmo ‘sociali’, compiutasi anche grazie ad azioni antesignane del concetto di responsabilità d’impresa. Sul posto di lavoro, creò un ambiente che favoriva il benessere delle donne, permettendo loro di gestire anche le incombenze familiari durante la pausa pranzo, segnalata da una sirena che suona ancora oggi. Ma non si limitò a creare opportunità lavorative per tutto il paese: Giovanni Battista finanziò infatti l’asilo di Ronago e contribuì alla costruzione delle infrastrutture locali, come strade e terreni per le abitazioni dei dipendenti, ceduti a una cifra simbolica per non far sembrare che fosse una pura donazione. Un approccio che contribuì a creare un senso di comunità e di filantropia sociale, un concetto molto avanzato per l’epoca”.
La strada è molta, da Como a Kalongo. Quali furono le ragioni dietro alla scelta di vita di padre Giuseppe?
“Dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Milano, Giuseppe entrò nella congregazione dei Missionari Comboniani, abbracciando il loro principio guida di ‘salvare l’Africa con gli africani’. Spinto dal desiderio di unire competenze mediche e fede, si specializzò in malattie tropicali e si preparò per una missione che avrebbe segnato la sua vita: quella in Uganda. Nel 1956 si trasferì a Kalongo, nel nord dell’Uganda, dove da un piccolo dispensario per la paternità fece nascere e crescere un ospedale efficiente e attrezzato a cui si dedicò per ben 32 anni. Con il tempo, grazie alla sua determinazione e al supporto della comunità locale, l’ospedale diventò un centro di eccellenza con più di 300 letti, capace non solo di curare migliaia di pazienti, ma anche di formare nuovi operatori sanitari attraverso la scuola di ostetricia. Possiamo dire che la strada da Como a Kalongo sarà sì stata molta, ma la distanza fu accorciata grazie ai valori ereditati dalla sua famiglia, in primis l’attenzione alla donna come fulcro della famiglia e della società e l’importanza dell’educazione, realizzata attraverso la fondazione della scuola specialistica di ostetricia, parte integrante dell’ospedale. In un certo senso, le azioni di padre Giuseppe non caddero molto lontano da quelle compiute da suo padre molti anni prima”.
Da missione del singolo, prendersi cura dell’ospedale di Kalongo e della comunità locale è divenuta quella di tutta la famiglia. Perché?
“Dopo la morte di padre Ambrosoli nel 1987, la famiglia volle preservare e continuare la sua missione, istituendo la Fondazione Dr. Ambrosoli. Per padre Giuseppe, Kalongo rappresentava infatti molto di più di un luogo di lavoro, ma il cuore della sua vocazione, il posto in cui il suo sogno era divenuto realtà: portare cure, speranza e dignità in una terra che amava profondamente. La nostra famiglia, e in seguito la Fondazione Dr. Ambrosoli, ha scelto di continuare a sostenere l’opera di padre Giuseppe che è diventata un’eredità concreta da raccogliere e portare avanti. Durante la sua vita, la famiglia e la comunità intorno a lui erano il cuore pulsante di un ponte di solidarietà: container di medicinali, materiali sanitari e vestiti partivano regolarmente dall’azienda di Ronago per arrivare fino al cuore dell’Uganda. Era un impegno spontaneo, nato dall’amore e dalla condivisione. Per questo quando è mancato per noi è stato naturale continuare a sostenere Kalongo: era un modo per mantenere viva la sua eredità e per far sì che il suo lavoro non andasse perduto”.
Tra la morte di padre Giuseppe e la costituzione della Fondazione Dr. Ambrosoli passa tuttavia un decennio: quando l’impegno personale ha necessitato di una struttura più definita?
“Nel decennio intercorso tra la morte di padre Giuseppe e la costituzione della Fondazione Dr. Ambrosoli, la famiglia ha sostenuto l’ospedale e la scuola di ostetricia principalmente attraverso iniziative spontanee e un forte impegno personale. Nonostante le difficoltà del periodo, come l’evacuazione dell’ospedale durante la guerra civile ugandese (1986-1994), i fratelli di Giuseppe e la comunità intorno a loro si sono mobilitati per mantenere viva l’opera. Il supporto era basato su raccolte fondi informali tra amici, parenti e sostenitori, e sull’invio di materiali medici e tecnici per l’ospedale. Questo impegno, anche se non strutturato, era animato dal desiderio di preservare ciò che Giuseppe aveva costruito”.
“In quegli anni, la famiglia Ambrosoli ha agito come un ponte di solidarietà, continuando a sostenere Kalongo con i mezzi a disposizione, dimostrando che l’opera di padre Ambrosoli, nonostante le difficoltà, aveva ancora radici solide e un futuro possibile. È in questa fase che l’azienda ha svolto un ruolo cruciale, mettendosi a disposizione non solo per organizzare e coordinare gli aiuti, offrire servizi in ambito tecnico e amministrativo, indirizzare e supportare personale volontario presoo l’ospedale. Come spesso accade nelle storie che nascono da passione e impegno, ciò che sembrava finito trovò nuova forza. Dieci anni dopo, grazie all’ispirazione e all’impegno di padre Egidio Tocalli, medico comboniano succeduto alla guida dell’ospedale dopo la morte di padre Giuseppe, la famiglia Ambrosoli insieme ai padri comboniani ha deciso di dar vita alla Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital: un modo per ricordare il fondatore, oltre che per fornire un segno concreto e garantire che il suo sogno continuasse a vivere. Non più un semplice invio di materiali, ma una visione strutturata, sostenibile, capace di affrontare il futuro. È così che la famiglia Ambrosoli ha fatto sua la missione di Kalongo, trasformandola in un progetto collettivo che ancora oggi ispira e guida le nuove generazioni”.
Negli anni, la Fondazione è cambiata…
“Esatto. Dopo oltre un decennio dalla sua nascita, durante il quale la Fondazione aveva esercitato meramente un ruolo di erogatore finanziario secondo un modello di aiuto volontaristico, l’abbandono dell’area da parte dei grandi finanziatori internazionali conseguentemente alla fine del conflitto civile, unitamente al termine della direzione comboniana, hanno determinato la scelta della Fondazione di trasformarsi in una struttura organizzata e operativa. Ci siamo resi conto che il supporto spontaneo e basato sul volontariato, che aveva funzionato per anni, non era più sufficiente per affrontare le sfide del nuovo millennio. Era necessario un approccio più organizzato e professionale per garantire il futuro dell’ospedale di Kalongo. Questo cambiamento ha rappresentato un punto di svolta: ci ha permesso di creare una gestione trasparente e con una visione di lungo termine, di rendicontare le attività, di pianificare progetti importanti e di offrire maggiore credibilità al nostro operato”.
“Il sostegno finanziario e manageriale e lo stretto rapporto di collaborazione strategica e operativa con l’ospedale hanno consentito negli anni risultati importanti a sostegno dell’ospedale e della scuola di ostetricia, grazie allo sviluppo del fundraising e di collaborazioni con aziende, organizzazioni, istituzioni private e pubbliche, anche internazionali. In questo modo, siamo riusciti a trasformare l’impegno della famiglia in un progetto sostenibile, duraturo e lungimirante. Non si tratta solo di raccogliere fondi, ma di lavorare con visione e professionalità per assicurare che l’opera di padre Giuseppe continui a vivere e crescere, rispondendo ai bisogni di Kalongo in modo efficace e moderno”.
“In questo percorso di crescita, la collaborazione con l’azienda ha conosciuto un’evoluzione significativa. Se inizialmente il contributo è stato fondamentale per coordinare gli aiuti privilegiando un modello di aiuto informale e poco visibile al pubblico di riferimento, oggi la relazione è cambiata e sta diventando ancor più profonda e strutturata: l‘azienda sostiene l’attività della Fondazione attraverso iniziative di marketing e comunicazione, coinvolgimento di volontari, contribuendo attivamente a rafforzare il modello filantropico, rendendolo più sostenibile e integrato con le sfide attuali in termini di responsabilità sociale. Questa sinergia rappresenta un’evoluzione del concetto stesso di partnership, in cui l’impegno non è solo economico ma anche progettuale e valoriale”.
Tornando a Kalongo: come la costituzione della Fondazione ha dato struttura all’ospedale locale, aiutandone la crescita e la gestione e aumentandone l’importanza per il territorio?
“La costituzione della Fondazione ha rappresentato un momento cruciale per l’ospedale di Kalongo: attraverso di essa è stato possibile formalizzare e organizzare il supporto all’ospedale, consentendogli di affrontare situazioni molto difficili sotto l’aspetto della sostenibilità economica e di mantenere un ruolo di eccellenza e di riferimento per l’assistenza sanitaria e la cura di un’area molto vasta del nord Uganda. Il sostegno si è concentrato su due pilastri fondamentali: il miglioramento della qualità delle cure offerte e la formazione del personale sanitario”.
“Grazie all’impegno della Fondazione, l’ospedale di Kalongo ha potuto espandere i propri servizi, introdurre nuove tecnologie mediche e rafforzare la scuola di ostetricia, fondamentale per formare professionisti locali capaci di rispondere alle esigenze del territorio. L’importanza della Fondazione si riflette anche nella capacità di coinvolgere partner internazionali, istituzioni e donatori, aumentando le risorse disponibili e favorendo la sostenibilità del progetto nel lungo periodo. L’ospedale di Kalongo, da realtà isolata, è diventato un punto di riferimento per la sanità nell’Uganda settentrionale, fornendo cure accessibili a migliaia di pazienti ogni anno, spesso provenienti da aree remote. Questo intervento strutturato ha rafforzato il legame tra l’ospedale e il territorio, dimostrando che lo sviluppo sanitario può diventare un volano per la crescita economica e sociale. La Fondazione Dr. Ambrosoli ha quindi trasformato la visione di padre Giuseppe in una realtà che continua a fare la differenza per migliaia di persone, contribuendo a migliorare non solo la salute, ma anche la dignità e le opportunità di intere comunità”.
In copertina: Studentesse della scuola di ostetricia St. Midwery School. Tutte le foto sono courtesy Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital