Nell’ipotesi di lavoratori espatriati nel Regno Unito, occorre tenere conto di numerosi aspetti che concernono l’ambito fiscale, quello previdenziale e quello amministrativo
A fronte delle numerose implicazioni fiscali e previdenziali che, in materia di expatriates, la Brexit ha generato, occorre procedere, anche con l’aiuto di un professionista, ad una attenta programmazione delle missioni all’estero, al fine di ottimizzare i costi, rispettare le nuove regole vigenti e adempiere agli obblighi contributivi
I dipendenti in mobilità, infatti, nonostante il Regno Unito abbia formalizzato il recesso dall’Unione, hanno continuato a viaggiare e raggiungere la Gran Bretagna per ivi articolare le diverse prestazioni lavorative richieste dai propri datori di lavoro.
Infatti, la circostanza che la Gran Bretagna a seguito del recesso sia divenuta Paese extracomunitario, ha cambiato tanto gli scenari politici quanto quelli normativi.
Quanto agli aspetti fiscali che concernono i lavoratori espatriati in Uk, non si registra un grosso impatto sul trattamento del rapporto di lavoro dipendente a seguito della Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Ue, infatti, non incide sulla Convenzione contro le doppie imposizioni concordata con l’Italia.
Pertanto, come stabilito ai sensi dell’art. 15 della Convenzione tra Italia e Regno Unito, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di una attività̀ dipendente svolta nell’altro Stato contraente, sono imponibili nel primo Stato se il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo – o periodi – che non oltrepassano in totale 183 giorni (nel corso di un qualsiasi anno fiscale), e se le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato e, ancora, se l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
Con riferimento agli aspetti fiscali, si evidenzia, però, che le persone fisiche residenti nel Regno Unito, a seguito della Brexit, non potranno più avere accesso al regime forfetario – invece ad oggi applicabile per i soggetti residenti in Stati Ue – se producono in Italia almeno il 75% del proprio reddito complessivo.
Con riferimento agli aspetti previdenziali relativi ai lavoratori espatriati in Uk, occorre mantenere sullo sfondo l’Accordo commerciale e di cooperazione (Tca – Trade and Cooperation Agreement) siglato a dicembre 2020 tra l’Ue e il Regno Unito (a cui l’Italia ha aderito).
All’interno dell’accordo, infatti, è integrato il Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale (che è valido per i prossimi 15 anni), il quale reca norme per l’ipotesi del distacco lavorativo in Uk e per l’ipotesi di esercizio dell’attività lavorativa in due o più Stati.
Con l’obiettivo di evitare la frammentazione delle erogazioni pensionistiche in diversi istituti previdenziali e al fine di evitare che il lavoratore distaccato sia assoggettato a doppia contribuzione, il Protocollo prevede che i lavoratori dipendenti distaccati che svolgono attività lavorativa in uno Stato diverso da quello in cui ha sede il proprio datore di lavoro restano assoggettati alla legislazione dello Stato di invio, per un periodo non superiore a 24 mesi.
Più nel dettaglio, i lavoratori italiani che sono inviati in distacco in Uk, in forza del Protocollo, possono continuare a versare i loro contributi solo in Italia per la durata del distacco nel Regno Unito; per un limite temporale massimo pari a 24 mesi.
Ne consegue, al contrario, che dal punto di vista previdenziale se si tratta di distacco che supera i due anni non è prevista la possibilità di continuare a versare i contributi esclusivamente nel Paese d’origine del lavoratore. In tal caso, i contributi dovranno essere versati nel paese di designazione e il datore di lavoro dovrà valutare se aprire una rappresentanza previdenziale in Uk, in applicazione della normativa vigente nel Regno Unito.
Una simile circostanza, evidentemente, può incidere sui costi a carico del datore di lavoro, stante il fatto che, esaurito il periodo di esenzione contributiva (24 mesi), non saranno più dovuti contributi in Italia, ma si renderanno dovuti quelli del Regno Unito.
Infine, per quel che riguarda i cd. multi-states workers, vale a dire i lavoratori che esercitano l’attività in due o più Stati, il Protocollo prevede che saranno soggetti al sistema previdenziale del Paese ove risiedono e svolgono la parte sostanziale della loro attività.
Ebbene, se dal punto di vista previdenziale la Brexit ha inciso in modo concreto, non si può dire la stessa cosa quanto agli obblighi amministrativi che gravano sul distaccante.
Anche se il Regno Unito è un paese terzo, infatti, si applica la stessa disciplina che vale per gli Stati membri. Ciò significa che il distaccante avrà l’obbligo di comunicare il distacco al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel giorno antecedente l’inizio del distacco e comunicare tutte le successive modificazioni entro 5 giorni; sarà poi obbligato, durante tutto il rapporto e nei successivi due anni dalla fine del distacco, a redigere e conservare in italiano la documentazione relativa al lavoratore distaccato (concernente, ad esempio, documentazione dei pagamenti, contratti di lavoro, prospetti paga).
Ebbene, questi sono sicuramente solo alcuni degli aspetti che vengono in rilievo quando si tratta di espatriati o lavoratori distaccati in Uk, a seguito della Brexit.
È consigliabile, pertanto, con l’aiuto di un professionista qualificato, procedere ad una attenta pianificazione delle missioni all’estero, procedendo ad una programmazione che tenga conto degli obblighi (anche previdenziali) che vengono in rilievo se il distacco nel Regno Unito dura più di 24 mesi.