Le agenzie di rating dovranno dimostrare che i giudizi espressi siano sufficientemente indipendenti dai loro interessi commerciali e non potranno offrire servizi di consulenza, revisione contabile o altri servizi finanziari
A ricadere sotto l’ombrello della nuova direttiva in arrivo sarebbero non solo i fornitori di rating di sostenibilità europei ma anche quelli provenienti da paesi terzi che esprimono giudizi all’interno del territorio dell’Unione
Del Giudice: “La divergenza di giudizio non è un problema in sé. Una pluralità di opinioni liberamente formate dagli analisti sarebbe un arricchimento per il mercato. Diventa un problema se si fonda sulla diversità dell’oggetto di valutazione”
Unione europea al lavoro su una nuova stretta anti-greenwashing. Stando a quanto risulta al Financial Times, la Commissione europea annuncerà la prossima settimana una proposta di legge che imporrà alle agenzie di rating specializzate nella raccolta e nell’analisi di dati sulla sostenibilità di rinunciare a qualsiasi attività in potenziale conflitto di interesse, come servizi consulenziali alle società “giudicate”. Per chi non si adegua potrebbero scattare multe fino al 10% del fatturato annuo.
Cosa cambia con le nuove regole
La bozza, visionata dal quotidiano economico-finanziario britannico, afferma che l’attuale mercato dei rating Esg (Environmental, social, governance) “soffre di carenze, non funziona correttamente” e non soddisfa “le esigenze di investitori ed emittenti”. Un contesto che minerebbe “la fiducia” nei confronti delle valutazioni espresse. La Commissione europea mette inoltre in guarda dalle “divergenze, dalla mancanza di trasparenza e dall’assenza di regole comuni” e dichiara di voler evitare che singoli Stati membri introducano misure disparate. A ricadere sotto l’ombrello della nuova direttiva sarebbero non solo i fornitori di rating di sostenibilità europei ma anche quelli provenienti da paesi terzi che forniscono giudizi all’interno del territorio dell’Unione. Le piccole agenzie con un fatturato pari o inferiore a 8 milioni di euro annui beneficerebbero di regole più morbide. Complessivamente, si parla di 59 società coinvolte, che dovranno dimostrare che i rating espressi siano sufficientemente indipendenti dai loro interessi commerciali e che non potranno offrire servizi di consulenza, revisione contabile o altri servizi finanziari alle società valutate.
Perché si parla di conflitto di interesse
“Il tema del conflitto di interessi non è certamente nuovo nel mondo delle agenzie di rating, sia quelle tradizionali che quelle Esg”, dichiara a We Wealth Alfonso Del Giudice, professore ordinario di finanza aziendale presso la facoltà di economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Secondo me ci sono due tipologie di conflitti di interesse meritevoli entrambi di attenzione. Il primo, quello più evidente, è richiamato dall’articolo del Financial Times. È noto che vi sono agenzie che elaborano rating su richiesta di un emittente (sollicited), il quale paga per questo servizio, e altre che, invece, lavorano in modo indipendente (unsollicited). Quando un rating è sollicited, ciò automaticamente implica un conflitto di interessi? A parer mio tale automatismo non è opportuno”. Molte società quotate, soprattutto di dimensione più piccola, spesso non sono coperte dal servizio di rating Esg e ciò le rende meno appetibili agli occhi degli investitori, spiega l’esperto. Per ovviare a questa limitazione, richiedono tale servizio a un’agenzia e pagano per essere giudicate. “Se il processo è trasparente, il mercato valuterà l’affidabilità o meno del rating elaborato dall’agenzia”, rassicura Del Giudice.
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“Altro aspetto, invece, può riguardare servizi di consulenza collaterali, come ad esempio la certificazione di un green bond di un emittente valutato dall’agenzia in questione. Ma anche in questo caso l’automatismo non mi pare così scontato, perché l’agenzia di rating Esg – che conosce bene l’emittente per averlo valutato in precedenza – dispone anche di maggiori informazioni sulla società per giudicare la greenness di un’emissione obbligazionaria, per rimanere nel caso di specie”, continua l’esperto. “Il secondo tipo di conflitto di interessi riguarda la struttura proprietaria delle agenzie di rating Esg. Se, ad esempio, i maggiori azionisti di un rating provider fossero anche degli intermediari finanziari, il conflitto potrebbe riguardare l’interesse a una valutazione più benevola delle società detenute in portafoglio. Conflitto più insidioso del primo, perché meno noto”.
Su cosa lavorano India e Gran Bretagna
Nel 2021 l’International organization of securities commissions invitò le autorità di regolamentazione di tutto il mondo a volgere la loro attenzione ai fornitori di dati e alle loro dichiarazioni ambientali e sociali. A rispondere all’appello, tra i primi, fu il Securities and exchange board of India, che a febbraio ha proposto un quadro normativo che richiederebbe alle agenzie di rating Esg di registrarsi presso l’autorità di regolamentazione e adottare misure per evitare i conflitti di interesse e promuovere la trasparenza. La Financial conduct authority (organismo di regolamentazione finanziaria del Regno Unito, ndr) sta lavorando invece a un codice di condotta volontario, mentre il Tesoro britannico sta valutando se conferirle il potere di intervenire in modo più formale sui rating di sostenibilità.
Il caos dei giudizi divergenti delle agenzie di rating
Intanto, resta aperto il tema dei giudizi divergenti. La valutazione di sostenibilità di una società può infatti differire sensibilmente tra un’agenzia di rating e un’altra, in particolare sui temi sociali e di governance in quanto maggiormente “qualitativi” rispetto alle tematiche ambientali. La divergenza di giudizio, però, non è un problema in sé. Anzi. Secondo Del Giudice, una pluralità di opinioni liberamente formate dagli analisti sarebbe un arricchimento per il mercato. “Tale aspetto diventa un problema se la dispersione di giudizi non si fonda sul parere divergente degli analisti ma sulla diversità dell’oggetto di valutazione”, avverte tuttavia l’esperto. “Le faccio un esempio. Sul tema della governance, sto confrontando tre diverse agenzie di rating Esg per uno studio che sto conducendo in seno al Centro di ricerche sulla governance dell’Università Cattolica: le agenzie hanno in comune meno del 20% di item oggetto di misurazione. Quindi, i loro giudizi divergono non perché in disaccordo sullo stesso tema, ma perché si pongono domande diverse. Questo aspetto genera confusione”.
“Il regolamento tassonomia dell’Unione europea va nella direzione di fornire un terreno comune anche alle agenzie di rating Esg. In tal modo, la divergenza delle domande che si pongono gli analisti si ridurrebbe e con essa anche la dispersione di giudizi che si osserva”, continua l’esperto. Evidenziando infine due punti critici. “Mentre sulla tassonomia ambientale c’è stata una convergenza, dato che gli aspetti di impatto ambientale sono oggettivamente più misurabili, sugli altri due pillar (s e g) la vedo più complicata. Inoltre, è bene che vi sia anche un coordinamento globale sul tema, in particolare tra le autorità europee e quelle americane”, conclude Del Giudice.