Fra questi eredi, vi è, in particolare, il coniuge al quale è riservata in aggiunta alla quota sull’eredità, anche il diritto di abitazione sulla casa coniugale e l’uso degli arredi. Tale diritto è inoltre riconosciuto a prescindere dalla accettazione dell’eredità e quindi anche in caso di rinuncia, trattandosi di un legato previsto dalla legge.
La portata di tale diritto “accessorio” è molto potente perché, oltre a trovare fonte, come detto, nella legge, rappresenta per gli altri eredi un limite o peso insuperabile, in quanto gli stessi ancorché divenuti proprietari in quota del bene immobile per effetto della successione, resteranno nudi proprietari e non potranno goderne in termini di utilizzo e disponibilità, essendo tale godimento riservato appunto al coniuge, a prescindere dalla superficie dell’abitazione e per tutta la durata della sua vita.
Peraltro sul punto, l’Agenzia delle Entrate (con la risposta n.463 del 4.11.2019), ha preso posizione sulla natura del diritto di abitazione del convivente in caso di decesso del compagno (o compagna), proprietario esclusivo della casa ove veniva vissuta la convivenza, affermandone la natura di diritto personale di godimento per effetto della recente legge n.76/2016 sulle unioni civili e disciplina delle convivenze, precisando che tale diritto non andrà inserito nella dichiarazione di successione, come diritto del convivente, con ciò facendo permanere l’imposta piena a carico degli eredi stessi.
Non solo, tornando alla posizione del coniuge, il diritto di abitazione tiene anche di fronte al riconoscimento di tale diritto ad altri eredi da parte del testatore. La giurisprudenza di Cassazione (sentenza n.15667/2019) ha già avuto modo di pronunciarsi in casi simili, affermando che il diritto di abitazione, al quale si aggiunge come detto, l’uso dei mobili all’interno della casa familiare, di cui all’art. 540 2 comma, c.c., si costituisce automaticamente in capo al coniuge superstite all’apertura della successione, a prescindere dalla disposizione testamentaria e a prescindere che tale diritto sia stato riconosciuto anche ad altri. Ciò significa che il coniuge non dovrà impugnare il testamento, poiché tali diritti gli sono riconosciuti dalla legge e quindi senza necessità di ricorrere all’impugnazione del testamento per rivendicare ciò che comunque è già riconosciuto. Peraltro, la sentenza precisa che, essendo nel caso specifico stato attribuito anche ad altri il diritto di abitazione, con ciò non escludendo totalmente il coniuge, quest’ultimo non è tenuto a rinunciare al legato costituito in suo favore in quanto assorbito nei legati previsti dalla legge, vale a dire il diritto di abitazione pieno e il diritto all’uso degli arredi.
In altre parole, ci si è chiesti se il diritto del coniuge, in particolare quello successivo, possa prevalere su gli altri comproprietari, e tra questi anche il coniuge originario. La risposta è offerta dalla recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha preso in esame il riconoscimento, o meno, del diritto di abitazione della seconda moglie, a fronte del fatto che la casa era intestata al coniuge, poi deceduto, ma anche alla prima moglie e quindi a terzi.
Ebbene, la sentenza della Cassazione n.15000 del 28.5.2021, chiarisce che il presupposto perché possa sorgere il diritto di abitazione in favore del coniuge superstite è che la casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto e un terzo.
Si tratta evidentemente di un limite sicuramente condivisibile che, tuttavia, potrebbe dare vita inconsapevolmente a degli stratagemmi, in realtà, poco efficaci sul piano della pianificazione patrimoniale, perché, se da un lato, il de cuius potrebbe impedire implicitamente al secondo coniuge di godere del diritto di abitazione, dall’altro, farebbe comunque un dispetto al primo, lasciandolo “legato” in una comproprietà dalla quale comunque liberarsi.