La divisione ereditaria è il procedimento attraverso il quale viene sciolta la comunione sui beni acquisiti mortis causa da più coeredi e si addiviene all’assegnazione a ciascuno di essi, in piena ed esclusiva proprietà, essenzialmente sulla scorta di due principi: quello della divisione in natura, sancito dall’art. 718 del codice civile, in base al quale ciascun coerede può chiedere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell’eredità, e quello della omogeneità delle porzioni, cristallizzato nell’art. 727 del codice civile, per cui ogni coerede ha diritto di ricevere una porzione in natura dei beni in comunione ereditaria, da formarsi secondo un criterio di proporzione non solo quantitativa (e cioè corrispondente all’entità della quota di propria spettanza), ma anche qualitativa (in termini di omogeneità – per natura e qualità – dei beni immobili, mobili e crediti oggetto della stessa).
Divisione ereditaria e immobili: cosa fare?
Al riguardo è di tutta evidenza che, in presenza di beni immobili, non è sempre possibile procedere alla distribuzione degli stessi tra le varie porzioni secondo i criteri sopra menzionati, o perché tali beni immobili sono numericamente inferiori rispetto alle varie porzioni, o perché sono eccessivamente diversi tra di loro quanto a valore o qualità.
Se ciò si verifica – e nella misura in cui essi siano divisibili o comodamente divisibili – si rende allora necessario effettuarne il frazionamento.
In caso contrario, si dovrà invece applicare l’art. 720 del codice civile, ai sensi del quale, se nell’eredità vi sono immobili indivisibili (cioè tali per cui la divisione comporterebbe una menomazione della loro funzione originaria) o non comodamente divisibili (cioè tali per cui la divisione causerebbe spese notevoli o apposizione di vincoli o pesi a carico della singola porzione) ovvero il cui frazionamento potrebbe recare pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene, essi devono preferibilmente essere compresi per intero nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione, con addebito dell’eccedenza da gestirsi con lo strumento dei conguagli; dovendosi ricorrere, in ultima istanza, alla vendita all’incanto se nessuno dei coeredi è a tanto disposto.
Ciò, evidentemente, al fine di evitare che la divisione effettuata in tali condizioni comporti una riduzione del valore economico dei beni ereditari.
L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI – 2, n. 36736 del 15 dicembre 2022
Analizziamo i punti chiave della fattispecie con l’ausilio dell’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI – 2, n. 36736 del 15 dicembre 2022.
Proprio sull’applicazione dell’articolo codicistico in questione si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. VI – 2, con ordinanza n. 36736 del 15 dicembre 2022. Il caso aveva a oggetto la comunione ereditaria su beni che, per loro composizione e numero, non consentivano la formazione di un progetto di divisione in natura tale da garantire quote omogenee per tutti i coeredi. In ragione di ciò, uno di essi aveva chiesto in attribuzione solo alcuni dei beni indivisibili della massa, mentre i beni residuali – anch’essi difficilmente divisibili – venivano assegnati, dai giudici di prime cure, congiuntamente agli altri coeredi senza che questi ultimi avessero avanzato apposita richiesta in tal senso, peraltro con obbligo di corrispondere i conguagli che ne derivavano a favore del primo coerede.
La Suprema Corte, chiamata a vagliare la legittimità di tale decisione, rilevava dunque l’erroneità dell’approccio in parola, stabilendo che, nell’ambito della divisione ereditaria e ai sensi dell’art. 720 del codice civile, è fatto divieto al giudice di includere d’ufficio un immobile non comodamente divisibile sia nella porzione di un coerede che non lo abbia espressamente richiesto, ancorché quest’ultimo abbia la titolarità della maggior quota, sia nelle porzioni di più coeredi, laddove essi non ne abbiano domandata l’attribuzione congiuntamente.
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