Un agosto arido per gli emergenti
Il mese di agosto 2018, insieme con il pesante sell-off, ha visto il deprezzamento delle più importanti valute delle economie emergenti. Le principali vittime sono state:
il peso argentino (-25,6%),
la lira turca (-6,75%),
il rand sudafricano (-10,8%),
il rublo russo (-7,4%),
il reale brasiliano (-7,3%),
il peso cileno (-6,75%).
Le cause della debolezza
Secondo Jonathan Mann, managing director, head of Emerging market debt di Bmo Global Asset Management, la modesta crescita globale è stat caratterizzata da:
i deboli prezzi delle materie prime,
il ciclo di rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve e
l’incombente fine del quantitative easing in Europa.
Questi titoli si sono così trovati ad essere troppi in portafoglio. La riduzione del bilancio della Fed e la fine del programma Qe della Bce ha reso più costosi i flussi di capitali globali per finanziare i disavanzi sia interni (fiscali) che esterni (commerciali) dei Paesi più dipendenti dai fondi esteri. Vi sono stati quindi deflussi obbligazionari pari a 1,5 miliardi di dollari nel corso del mese. Soprattutto Argentina e Turchia, hanno visto deflussi a favore del dollaro Usa.
L’Argentina
In agosto il peso si è fortemente deprezzato e la banca centrale ha aumentato i tassi d’interesse di 500 punti base, fino al 45%. Questo però non è bastato a calmare le ansie del mercato. Il 29 agosto il presidente Macri ha annunciato che avrebbe chiesto al Fmi di anticipare capitali del programma di finanziamento per il 2019. In cambio, l’Argentina avrebbe accelerato i pesanti aggiustamenti fiscali per raggiungere il pareggio del bilancio primario nel 2019. Purtroppo, l’apparente mancanza di coordinamento con il Fmi è stata percepita come panico e questa mossa ha avuto sui mercati l’effetto contrario a quello sperato. Il 30 agosto la banca centrale ha ulteriormente aumentato i tassi al 60% e nel corso del mese gli spread dei Cds sovrani sono passati da 415 a 790 punti base. Ad ogni modo, il direttore operativo del Fmi Lagarde ha accolto con favore la richiesta dell’Argentina. Tuttavia, l’aggiustamento fiscale più rapido, sebbene considerato positivo dal punto di vista economico, aumenta l’incertezza rispetto al possibile secondo mandato del presidente Macri alla fine del 2019.
La Turchia
Volatilità e scarsa liquidità sono state le palle al piede della Turchia negli scorsi mesi. La lira turca si è fortemente svalutata e gli spread dei Cds a 5 anni si sono ampliati, passando da 325 a 575 punti base. Il fattore scatenante della vendita è stato il fallimento dei negoziati tra Turchia e Usa per la liberazione di un pastore statunitense trattenuto nel Paese. Il raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio turchi hanno poi determinato il crollo della valuta. La fiducia dei mercati, già debole, è parimenti crollata. Gli investitori hanno considerato un errore politico la decisione di non aumentare i tassi a luglio, quando il loro valore era pari al 17,75%. Per questo motivo la banca centrale ha portato i tassi dal 17,75% alla banda superiore del corridoio (19,25%).
Conclusione
Il totale delle emissioni sovrane degli emergenti ha raggiunto i 116 miliardi di dollari da inizio anno. Valore superiore alla media quinquennale dei 110 miliardi di dollari, per cui per la maggior parte dei paesi il fabbisogno di finanziamento può considerarsi soddisfatto. Dopo l’impennata dello scorso anno però, l’afflusso nei fondi obbligazionari emergenti si è arrestato. Tuttavia l’analista di Bmo ritiene che gli investitori restino sottoallocati. Bisogna notare che nel segmento ad alto rendimento lo spread dell’indice EMBI (Emerging Market Bond Index) si è allargato fino a 370 punti, per cui le valutazioni vengono ritenute interessanti.