La recente nomina di Elena Goitini a ceo di Bnl Bnp Paribas ci ha reso tutti orgogliosi: una donna italiana a capo di una delle più grandi banche in Italia e per di più parte di un gruppo francese.
Per fortuna non è un caso isolato, in Italia altre donne ricoprono ruoli apicali sia come top manager di reti (Paola Pietrafesa in Allianz Bank), Società di gestione del risparmio (Cinzia Tagliabue in Amundi, Loredana La Pace in Goldman Sachs, Simona Merzagora in NN IP, Alexia Giugni in Dws), compagnie assicurative (Maria Luisa Gota in Fideuram Vita, Isabella Fumagalli in Cardiff) che come professioniste della consulenza finanziaria (e qui l’elenco per fortuna è più lungo). Certamente la strada da fare nella direzione del riconoscimento della meritocrazia a prescindere dal genere è irta di ostacoli ma il solco è tracciato e speriamo si tratti di un percorso irreversibile. Dalle ricerche che Finer realizza ogni anno su 3.300 Consulenti Finanziari (Cf Explorer), 1.700 Private Banker (Pb Explorer) e 2.000 Gestori Bancari dedicati alla clientela affluent (Bm Explorer) emerge che la percentuale di donne passa dal 19% dei Consulenti finanziari, al 27% dei Private Banker per arrivare al 48% dei Gestori Bancari.
Si tratta di tre differenti modelli di servizio caratterizzati da due differenti figure professionali: gli agenti nel primo caso e i dipendenti nel secondo e terzo caso. Il che potrebbe anche spiegare la differente presenza di donne. I tre modelli di servizio rappresentano infatti differenze sostanziali nei loro punti di forza: le reti sono il paladino del risparmio gestito, campioni di proattività commerciale e capacità di operare in modalità digitale o remota.
Le banche sono caratterizzate da una storica presenza territoriale, da un’offerta di prodotti e servizi che, pur spaziando dagli impieghi alla gestione del risparmio per arrivare ai prodotti assicurativi, hanno nell’erogazione del credito la loro peculiarità.
Ed è proprio tra i professionisti dipendenti sembrano esserci le maggiori disparità di genere. Le donne sono meno soddisfatte rispetto ai loro colleghi degli aspetti retributivi, danno più importanza al welfare aziendale mentre gli uomini sono più sensibili ai bonus monetari.
Tra i consulenti questa differenza è minima anche perché la retribuzione è direttamente correlata ai risultati del proprio lavoro e i clienti – a parità di competenze – non sembrano discriminare tra i generi. Il divario di genere diventa significativo anche tra i consulenti finanziari, su una serie di aspetti in cui le donne risultano più soddisfatte degli uomini: l’attenzione, i supporti di marketing, i prodotti, le operation e il coinvolgimento della mandante nei loro confronti. Ma la differenza più significativa si registra in termini di fedeltà alla propria società: le donne, siano esse consulenti finanziarie o dipendenti, risultano molto più attaccate alla maglia e alla squadra di quanto non lo siano gli uomini. Come se non bastasse le donne sono mediamente più esi- genti dei loro colleghi relativamente ai servizi a maggior valore aggiunto (wealth management, fiscalità, passaggio generazionale, club deal, private insurance, corporate finance).
In altri termini le professioniste sembrano caratterizzate da una maggior capacità di aprire i propri orizzonti su tematiche più ampie – rispetto alla sola gestione degli investimenti – sulle quali, nella fattispecie, si giocherà probabilmente il futuro della professione. Anche agli occhi dei clienti le professioniste risultano caratterizzate da una maggiore flessibilità e capacità di ascolto e – molto importante – meno pressanti commercialmente, probabilmente meno afflitte dall’ansia da prestazione e acquisizione dei clienti dei loro colleghi. Anche la statistica conferma che nei board delle società quotate la presenza delle donne è correlata positivamente con l’andamento sostenibile degli utili nel tempo: fatti e non parole.