Ai sensi dell’art. 3, co. 4-ter, d.lgs. 346/1990, i trasferimenti d’azienda o di rami di esse non sono soggetti all’imposta sulle successioni qualora il destinatario del trasferimento sia un discendente o il coniuge del de cuius e i beneficiari del trasferimento proseguano l’esercizio dell’impresa per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento.
Nel caso in cui le condizioni sopra citate non sussistano, invece, è necessario determinare il valore complessivo netto dei beni trasferiti a ogni singolo beneficiario, al fine di liquidare l’imposta sulle successioni.
A tal fine, è necessario definire il valore complessivo dei beni trasferiti dal defunto in virtù di quanto disposto dagli artt. 14-19 D.lgs. 346/1990; al cosiddetto attivo ereditario devono essere poi sottratte le passività deducibili e gli oneri da cui l’eredità sia gravata, diversi da quelli indicati dall’art. 46, co. 3, d.lgs. 346/1990; il valore così ottenuto deve essere suddiviso nelle singole quote.
Il valore dell’azienda deve essere determinato sulla base di quanto stabilito dall’art. 15, co. 1, d.Lgs. 346/1990, e quindi a seconda che l’imprenditore sia o meno obbligato alla tenuta dell’inventario ex art. 2214 del codice civile.
È possibile ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria, ponendo così fine alla situazione di comproprietà, mediante la divisione, la quale fa sì che ciascun partecipante alla comunione ottenga la titolarità esclusiva della propria quota ideale del bene che era comune.
Ai sensi degli artt. 713 e seguenti del codice civile, il patrimonio ereditario può essere diviso mediante divisione amichevole, se fatta con il consenso di tutti i coeredi; divisione giudiziale, se vi è disaccordo fra gli stessi e interviene il giudice; divisione fatta dal testatore.
Per quanto concerne la forma, ex art. 1350. è richiesta la forma scritta ad substantiam se l’atto di divisione ha a oggetto beni immobili.
Ai fini della determinazione dell’imposta di registro, occorre verificare se la divisione comporti l’assegnazione ai condividenti di beni per un valore pari (quota di fatto uguale a quota di diritto) o superiore (quota di fatto maggiore della quota di diritto) a quello loro spettante di diritto.
Nel caso di assegnazione proporzionale, la divisione ha natura meramente dichiarativa e si applica l’imposta proporzionale di registro con aliquota dell’1% ex art. 3 della Tariffa, parte I, allegata al dpr 131/1986.
Qualora si abbia un’assegnazione non proporzionale, invece, oltre all’imposta di registro dell’1%, la divisione deve essere assoggettata a imposta come se si trattasse di una vendita limitatamente all’eccedenza della quota di fatto attribuita a un condividente rispetto alla quota a egli spettante di diritto.
Da ultimo, assumono rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro come se si trattasse di una vendita, solo i conguagli superiori al 5% del valore della quota di diritto.