Oltre il 53% delle organizzazioni ha implementato specifiche strategie sulla diversità e l’inclusione negli ultimi tre anni. Per il 24% si parla di un periodo superiore ai sette anni
Tra i benefici riscontrati viene citato un incremento del grado di coinvolgimento e del confronto interno all’organizzazione (circa il 75% del campione)
Il miglioramento della parità di genere potrebbe avere un effetto positivo sul pil pro capite dell’Unione europea compreso tra il 6,1 e il 9,6% entro il 2050
Certo, non mancano gli ostacoli. Nel percorso di inclusione e valorizzazione delle donne, le organizzazioni si scontrano innanzitutto con una ridotta visibilità e consapevolezza del fenomeno a tutti i livelli, legata a bias percettivi spesso inconsapevoli, stereotipi e pregiudizi. Poi con una certa resistenza da parte del management e infine con l’assenza di una strategia specifica e obiettivi definiti in modo strutturato. Senza dimenticare la scarsità di risorse disponibili. Di conseguenza, il 50% delle organizzazioni punta a favorire programmi di sponsorship e mentoring, programmi di formazione (circa il 50%) e l’engagement interno (oltre il 30%) favorito tramite attività di sensibilizzazione sul ruolo delle donne nel mondo del lavoro all’interno e all’esterno dell’organizzazione.
Ricordiamo infine che, stando ai dati Eige raccolti in un recente studio dell’Osservatorio 4.Manager, il miglioramento della parità di genere potrebbe avere un effetto positivo sul pil pro capite dell’Unione europea compreso tra il 6,1 e il 9,6% entro il 2050, che potrebbe raggiungere picchi del +12% in determinati Stati (tra cui l’Italia). Inoltre, le esportazioni incrementerebbero di circa lo 0,7% nello stesso periodo, mentre le importazioni si ridurrebbero fino all’1,2%, con un conseguente miglioramento della bilancia commerciale.
“Oggi è prioritario che i governi integrino la questione di genere nella loro agenda”, osserva Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. “La pandemia ha reso ancora più visibile il gap ma al contempo ha creato una situazione di crisi e urgenza in cui le donne sono necessarie per contribuire a soluzioni trasformative e per costruire al meglio la ripresa”. Secondo Falcomer, pubblico e privato dovrebbero “lavorare in modo integrato” per favorire il cambiamento. “Da un lato, la certificazione di genere prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, gli investimenti previsti in infrastrutture sociali e incentivazione allo studio delle materie Stem (Science, technology, engineering and mathematics), la recente legge sul pay gap, costituiscono una cornice di regole più chiare in cui le aziende possono e devono operare. Dall’altro le aziende possono scegliere di fare di più e essere attori protagonisti di un forte cambiamento, con le loro politiche contro le discriminazioni e a favore della valorizzazione del talento, con politiche più incisive sulla genitorialità e con progetti di formazione sulle competenze chiave per gestire la complessità e le sfide che abbiamo davanti a noi”.