Con la risoluzione 3 gennaio 2022, n. 1, l’Agenzia delle entrate ha affrontato il tema del trattamento fiscale – ai fini dell’imposta sul valore aggiunto – dei differenziali da liquidare in esecuzione di contratti relativi a strumenti finanziari derivati legati alla variazione del prezzo dell’energia elettrica. L’Agenzia afferma che queste somme costituiscono il corrispettivo, e quindi la base imponibile, di un’operazione esente da imposta.
Questa pronuncia supera espressamente il precedente orientamento dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui le somme differenziali dei contratti derivati sono irrilevanti ai fini dell’Iva e pone un’importante criticità per i contraenti che rivestono anche lo status di soggetti passivi dell’Iva per le conseguenti limitazioni alla detrazione dell’imposta.
La nozione di “contratti derivati”
A miglior chiarimento della tematica, va ricordato che i contratti derivati sono quei contratti (atipici) il cui valore dipende – e cioè “deriva”, appunto – dall’andamento di un’attività sottostante (underlying asset), che può avere natura finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse e di cambio, indici finanziari, etc.) o reale (caffè, cacao, oro, petrolio, commodity, etc.).
Il precedente inquadramento dei derivati su commodity ai fini Iva
Con la risoluzione del 16 luglio 1998 n. 77, il ministero delle Finanze si era espresso nel senso della irrilevanza, ai fini dell’Iva, delle somme versate in esecuzione di contratti relativi a strumenti finanziari derivati (differenziali), chiarendo quanto segue: «La scrivente, confortata dalla circostanza che le sue conclusioni sono state condivise anche dal Consiglio di Stato – Sez. III – con il parere 15 aprile 1998 n. 835/95, ritiene che le somme, cosiddetti differenziali, che vengono versate in esecuzione dei contratti stessi, costituiscono l’oggetto della prestazione contrattualmente dedotta e non possono essere qualificate come corrispettivi di una controprestazione, qualificazione quest’ultima che implicherebbe invece la sussistenza di un sinallagma funzionale tra le prestazioni da adempiere da ciascuna delle parti e nel cui reciproco condizionamento risiederebbe la causa negoziale. Trattasi, invece, di contratti aleatori ad alea bilaterale, nei quali alla reciprocità del rischio nel momento genetico del rapporto non corrisponde, tuttavia, una reciprocità di prestazioni legate da un nesso di sinallagmaticità funzionale. Infatti, alla scadenza prefissata, si verifica un fenomeno di concentrazione dell’obbligazione a carico di una sola delle parti contraenti, per cui il contratto dà luogo ad un’unica prestazione».
Dalla citata configurazione delle somme in parola come «oggetto della prestazione» discendeva, quindi, l’inquadramento delle somme medesime come «cessioni di denaro» escluse dall’ambito di applicazione dell’Iva a norma dell’articolo 2, terzo comma, lett. a) del Dpr n. 633/1972.
La più recente posizione dell’Agenzia delle entrate in tema di derivati su commodity
Come anticipato in premessa, con la risposta a interpello n. 1/2022 l’Agenzia delle entrate è intervenuta nuovamente sul tema, superando espressamente il precedente orientamento e inquadrando il contratto avente a oggetto la compravendita di energia elettrica con regolazione e impegno al versamento dei differenziali di prezzo, a copertura del rischio di oscillazione del prezzo dell’energia, tra le operazioni esenti, in quanto contratto di finanza derivata (nello specifico: contratto di swap).
Secondo l’Agenzia, infatti, l’articolo 10, n. 4, del Dpr n. 633/1972 comprenderebbe fra le operazioni esenti quelle relative a strumenti finanziari, ivi incluse le operazioni preordinate alla copertura dei rischi di variazione concernenti tassi di interesse, tassi di cambio, indici di Borsa o prezzi di mercato di beni (e quindi i contratti derivati, quali futures, options, swaps), la cui base imponibile dovrebbe essere individuata nell’importo del differenziale monetario dovuto in base ai medesimi contratti.
Ad avviso dell’Agenzia, infatti, le operazioni in derivati finanziari sono assimilabili a quelle dipendenti da “contratti pronti contro termine”, venendo in rilievo anche l’articolo 4 della legge n. 146 del 1998 (emanato successivamente alla risoluzione n. 77 del 1998), in base al quale agli effetti dell’Iva le operazioni dipendenti da contratti pronti contro termine devono essere considerate come prestazioni di servizi di finanziamento, aventi per base imponibile la differenza tra il corrispettivo a termine e quello a pronti.
Impatti critici della risoluzione e conclusioni
La risoluzione n. 1/2022, qui in commento, è destinata ad avere ripercussioni economiche importanti sul “mercato” dei derivati su commodity, in quanto la configurazione dei contratti in parola come operazioni esenti ex articolo 10 del Dpr n. 633/1972 implica, per il soggetto passivo Iva che riceve il differenziale, una più o meno estesa limitazione del diritto alla detrazione dell’imposta.
Al di là degli effetti pregiudizievoli per gli operatori, tuttavia, quello che preme sottolineare è che, secondo la dottrina più attenta (cfr. tra tutte Assonime), le conclusioni dell’Agenzia non sembrano cogliere l’essenza, la struttura giuridica, le finalità e il contenuto economico dei contratti in oggetto, né – in particolare – tener sufficientemente conto del carattere aleatorio degli stessi.
Auspicando dunque che l’Agenzia riveda la propria posizione, i soggetti passivi IVA, nel frattempo, saranno chiamati ad un’attività di “self-assessment”, finalizzata alla verifica non solo dei contratti derivati in essere ma anche di quelli conclusi nei periodi d’imposta ancora accertabili, per misurarne gli impatti ai fini dell’IVA e gestire il relativo rischio, se del caso anche valutando la fondatezza di un eventuale contenzioso tributario.