La proposta normativa, con due soli articoli, pone l’ambizioso obiettivo di fornire un quadro chiaro in un settore che sarà a breve interessato da importanti novità in chiave operativa – il decreto Mef del 13 gennaio 2022 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio 2022) prevede infatti la nascita della prima anagrafe degli operatori in criptovalute (exchanger e wallet provider) attivi in Italia, nonché della prima concreta forma di monitoraggio delle operazioni – muovendosi in linea con l’esigenza di regolamentazione che da tempo si registra a livello internazionale, in cui Ocse e Unione europea hanno lanciato proposte, attualmente in consultazione, per l’adeguamento, rispettivamente, del Common reporting standard sullo scambio di informazioni (Crypto-asset reporting framework and amendments to the common reporting standard) e della Direttiva sulla cooperazione amministrativa tra gli Stati (Dac 8), al nuovo fenomeno dei cryptoasset.
Prima di entrare nel dettaglio, merita ricordare che, allo stato attuale, in assenza di un framework legislativo di riferimento in materia di tassazione del genus delle criptoattività, il vuoto normativo è stato solo parzialmente colmato dall’amministrazione finanziaria che nelle risposte ad alcuni interpelli presentati dai contribuenti ha riservato particolare attenzione (anche in ragione della loro maggiore diffusione) alla specie delle criptovalute. In particolare con la posizione assunta nella nota risoluzione n. 72/E/2016, confermata poi in successive pronunce (da ultimo, quella di cui alla risposta ad interpello n. 788 del 24 novembre 2021), l’Agenzia ha operato una equiparazione sul piano tributario delle valute virtuali alla categoria delle valute estere disciplinate dall’art. 67, comma 1, lett. da c-ter) a c-quinquies) del Tuir.
Su tali base, il trattamento fiscale applicabile alle criptovalute detenute da persone fisiche non imprenditori è dunque stato determinato applicando analogicamente i principi generali che regolano le operazioni aventi a oggetto valute tradizionali, con la conseguenza che i redditi derivanti da criptovalute possono assumere, a seconda dei casi, natura di redditi di capitale ovvero di redditi diversi di natura finanziaria nelle stesse ipotesi previste per i redditi derivanti da valute estere, rispettivamente, dall’art. 44 del Tuir e dalle lett. c-ter), c-quater) e c-quinquies), dell’art. 67, comma 1, del medesimo Testo unico.
In base ai dettami della citata lett. c-ter), la cessione a titolo oneroso di criptovalute risulterebbe pertanto produttiva di plusvalenze imponibili in ipotesi di cessione “a termine”, operazione fisiologicamente caratterizzata da un intento speculativo. Parallelamente, non assumono rilevanza fiscale le operazioni “a pronti” (come, acquisti e vendite) di criptovalute in quanto essenzialmente prive di finalità speculativa, salvo il caso in cui le criptovalute oggetto di cessione siano prelevate da wallet per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. In tale ultima ipotesi (come, cessione “a pronti”), il valore in euro della giacenza media in valuta virtuale andrebbe calcolato, in conseguenza della citata assimilazione, utilizzando il cambio di riferimento all’inizio del periodo d’imposta.
L’equiparazione giuridica tra criptovalute e “valute estere” operata dal fisco è (a ragione) aspramente criticata in dottrina, in quanto non in grado di cogliere la natura della valuta virtuale quale “oggetto nativo digitale” per il quale, pertanto, non può esistere un concetto di “estero”. Peraltro detta assimilazione non sembra tener conto della definizione di “valute virtuali” introdotta ai fini della disciplina dell’antiriciclaggio dal legislatore comunitario che, espressamente, disconosce la connotazione monetaria o valutaria delle medesime. Senza addentrarsi in ulteriori technicality, ciò che appare chiaro è che l’assenza di una definizione univoca di criptovaluta abbia determinato sino a oggi forti dubbi in merito al trattamento fiscale da riservare alle operazioni aventi a oggetto tali asset digitali.
È proprio da tale consapevolezza che muove la proposta normativa in commento che, con l’obiettivo di dare piena cittadinanza fiscale alle valute virtuali, peraltro attraverso l’adozione di definizioni univoche tra i diversi ambiti (quello tributario, quello contabile e quello regolamentare), da un lato, introduce il concetto di «unità matematica» quale “unità minima matematica crittografica, statica o dinamica, suscettibile di rappresentare diritti, con circolazione autonoma” sottostante a tutte le diverse forme di criptovalute e, dall’altro, prevede modifiche normative volte a integrare l’ordinamento tributario vigente per adeguarlo al nuovo contesto economico delle valute virtuali.
Ai fini Irpef dunque, pur valorizzando la tesi dell’assimilazione delle criptovalute alle valute estere, sostenuta dall’Agenzia delle entrate (per cui, come detto, sono sempre da tassare le plusvalenze realizzate su operazioni “a termine”, mentre quelle relative a operazioni “a pronti” solo nel caso in cui il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute dal contribuente ecceda i 51.646,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui), si è tenuta in debita considerazione la differenza tipologica delle valute virtuali rispetto alle valute tradizionali.
Il presupposto impositivo non è quindi il prelievo, come sostenuto in via interpretativa dall’Agenzia, bensì la conversione delle valute virtuali in euro o in altra valuta avente corso legale. Conseguentemente, le plusvalenze maturate su operazioni di scambio di criptovalute contro altre criptovalute, che rappresentano, generalmente, la parte più consistente e volatile delle negoziazioni di un wallet, risulterebbero come non (ancora) realizzate e parimenti irrilevanti sarebbero i differenziali positivi derivanti dall’acquisizione gratuita di valute virtuali a qualunque titolo (come ad esempio staking, yield farming, etc.) con la specificazione, in quest’ultimo caso, che il costo unitario della valuta virtuale gratuitamente acquisita vada assunto pari a zero. La manifestazione di ricchezza si verifica invece solo nel momento in cui il contribuente ritorna alle valute tradizionali.
In ogni caso, lo schema di disegno di legge prevede opportunamente un regime opzionale di rideterminazione dei valori fiscali del portafoglio di valute virtuali subordinato, alla stregua di quello previsto per la rivalutazione di terreni e partecipazioni non quotate, al pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi per scaglioni (8, 9 e 10%, a seconda che il valore sia inferiore a 500 mila euro, compreso tra 500 mila euro e un milione, oppure oltre un milione di euro), da versare entro il 30 giugno 2022 (termine che sarà sicuramente da rivedere, considerati i tempi parlamentari) ovvero in tre rate annuali di pari importo, e da calcolarsi sul valore al 1° gennaio 2022, determinato con perizia giurata.
Per quanto concerne poi il monitoraggio fiscale, si prevede una modifica dell’articolo 4 del Dl 167/1990 che recepisca la tesi interpretativa del fisco secondo cui la detenzione di criptovalute è soggetta all’obbligo di indicazione del quadro Rw, senza che gli asset indicati abbiano rilevanza ai fini Ivafe (in quanto i wallet non rientrano nella definizione di prodotti finanziari), e a prescindere dalle concrete modalità di detenzione (diretta, o tramite exchanger domestici o esteri). Tuttavia, in discontinuità rispetto all’orientamento delle Entrate (contenuto nelle istruzioni ministeriali alla compilazione del citato quadro dichiarativo), viene previsto che i valori andrebbero indicati al costo storico e non al valore di mercato (aspetto di particolare rilevanza considerato che in caso di errori od omissioni, il regime sanzionatorio è proporzionale ai valori non correttamente indicati o omessi) e che troverebbe applicazione la stessa franchigia di 15mila euro prevista per conti correnti e depositi bancari. In punto di regime sanzionatorio, si propone inoltre l’applicazione di una “sanatoria” per le eventuali omissioni e irregolarità da quadro Rw commesse in passato, che sarebbe tuttavia limitata ai soli soggetti che intenderanno optare per la rideterminazione dei valori secondo il regime opzionale poco prima descritto.
In definitiva, sebbene l’intervento appaia prima facie organico sotto il profilo dei soggetti passivi Irpef, in quanto rivolto non solo all’imposizione diretta – con la proposta di modifiche agli articoli 44, 67 e 68 del Tuir nel senso sopra specificato – ma anche agli obblighi di monitoraggio nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi, di cui al Dl 167/1990, e alla relativa Ivafe, è sin da subito evidente come lo stesso non sia sufficiente a coprire le lacune normative che si riscontrano tutt’oggi sul versante tributario (e non solo).
Sicuramente auspicabili, quali interventi correttivi da apportare in itinere, la previsione di una specifica causa di esonero dalla compilazione del quadro Rw in caso di detenzione di valute virtuali tramite wallet provider residenti o esteri con operatività nel territorio dello Stato – che, come tali, sono già inclusi nel novero dei soggetti “monitoranti” e che, in vista del nuovo registro Oam previsto dal decreto del Mef citato, saranno sempre più coinvolti nello scambio di informazioni (anche) con l’amministrazione finanziaria –, nonché l’estensione generalizzata della previsione di sanatoria, a oggi proposta per i soli soggetti che intenderanno beneficiare del regime opzionale di imposizione sostitutiva sopra richiamato.
Peraltro da notare che restano ancora non disciplinati (oltre che i profili tributari ai fini dell’imposte sul reddito delle società, dell’Iva e delle altre indirette) i profili tributari di criptoattività funzionalmente diverse dalle criptovalute quali, solo per citarne alcune, quelle sussumibili nelle generali categorie dei security token, degli utility token e dei non fungible token (o Nft).
Nelle more di un intervento normativo che disciplini compiutamente la materia, i perduranti dubbi consentono ai contribuenti di invocare, in caso di eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, quanto meno la disapplicazione delle sanzioni tributarie per la presenza di una (evidente) incertezza normativa.
(Articolo scritto in collaborazione con Damiano Di Vittorio, Gattai, Minoli, Partners)