La sentenza 10204/2024 della Cassazione sul credito d’imposta su dividendi esteri
Con la sentenza n. 10204 del 16 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha confermato il proprio favorevole orientamento (già espresso con la sentenza n. 25698 del 2022) circa la possibilità di scomputare in Italia le imposte pagate all’estero sui dividendi di fonte estera ai sensi della più favorevole normativa convenzionale.
Tale sentenza, nonché le pronunce concordanti rese dalle Corti di merito (Corte di Giustizia di primo grado di Siena, sentenza n. 68 del 2024; Corte di Giustizia di primo grado di Verona, sentenza n. 321 del 2024), testimonia ancora una volta la portata dirompente del principio espresso dalla Cassazione, che sconfessa lo storico orientamento dell’amministrazione finanziaria.
Il principio sancito dai giudici, tuttavia, presenta ancora talune (non trascurabili) criticità applicative.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
Come detto, l’amministrazione finanziaria ha sempre negato la possibilità di beneficiare del credito d’imposta previsto all’art. 165 del Tuir per i dividendi esteri percepiti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa.
Tale impostazione deriva dal dato letterale dell’art. 165 del Tuir, il quale nega la possibilità di beneficiare del credito d’imposta con riferimento a quei redditi che non hanno concorso a formare la base imponibile del contribuente, poiché (come nel caso dei dividendi) assoggetti a ritenuta a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva.
Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate (si veda, ex multis, principio di diritto n. 15 del 2019), le persone fisiche che percepiscono dividendi di fonte estera, dopo aver subito la ritenuta alla fonte nel Paese estero, sono soggette nuovamente a tassazione in Italia con aliquota del 26% (mediante ritenuta alla fonte nel caso di incasso tramite intermediario o tramite imposta sostitutiva in assenza di intermediario), applicata:
- sull’importo del dividendo al netto della ritenuta (cosiddetto “netto frontiera”), qualora i dividendi siano incassati tramite un intermediario residente; ovvero
- sull’importo al lordo della ritenuta, per i dividendi percepiti senza l’intervento di un intermediario.
In ogni caso, secondo l’Agenzia delle Entrate, non è riconosciuta al contribuente la possibilità di scomputare dall’imposta italiana la ritenuta subita all’estero, determinando in tal modo una sostanziale doppia imposizione (solo parzialmente attenuata con il meccanismo del “netto frontiera”).
Le critiche alla posizione dell’amministrazione finanziaria
La posizione dell’Agenzia delle Entrate, tuttavia, è stata più volte criticata poiché in contrasto con l’obbligo di riconoscere il credito d’imposta sancito da molteplici Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Tali Convenzioni, infatti, presentano delle norme di maggior favore per il contribuente che, ai sensi dell’art. 169 del Tuir, dovrebbero essere applicate in luogo della normativa domestica (art. 165 del Tuir).
Il principio stabilito dalla Cassazione e ribadito dai giudici di merito
Tali critiche sono state fatte proprie dalla Suprema Corte, con le citate sentenze n. 25698 del 2022 e n. 10204 del 2024.
Secondo la Corte di Cassazione, l’assetto delineato dall’Agenzia delle Entrate si pone in contrasto con la maggior parte delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia (ad esempio, quelle concluse con Francia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Lussemburgo Paesi Bassi, Svizzera o Stati Uniti).
Tali Convenzioni stabiliscono – dopo aver previsto che l’Italia deve riconoscere al contribuente un credito pari all’imposta pagata all’estero sullo stesso componente di reddito assoggettato a tassazione anche in Italia – che nessun credito sia accordato qualora l’elemento di reddito sia assoggettato a imposizione in Italia mediante ritenuta a titolo d’imposta (ciò vale anche nel caso di imposta sostitutiva), “su richiesta del beneficiario” di detto reddito in base alla legislazione italiana.
Da questa formulazione si ricava, con una lettura al contrario, che se invece il reddito è assoggettato a ritenuta non su richiesta del beneficiario, ma in modo obbligatorio (come avviene nell’attuale contesto), la ritenuta applicata all’estero deve considerarsi scomputabile in Italia.
L’inapplicabilità di tale principio alle Convenzioni più “recenti”
Tanto detto, si segnala che la possibilità di beneficiare del credito d’imposta sui redditi di fonte estera non ha una valenza generalizzata, risultando legata alla specifica formulazione letterale contenuta nella Convenzione di volta in volta applicabile.
Sebbene nella maggior parte dei casi le Convezioni concluse dall’Italia consentano di riconoscere il credito di imposta sui dividendi esteri, lo stesso non può dirsi per le Convenzioni più recenti, in cui la locuzione è stata modificata aggiungendo “anche” prima della frase “su richiesta del beneficiario” (come nel caso delle Convenzioni stipulate con Arabia Saudita, Cipro, Corea, Filippine, Singapore o Hong Kong), ovvero in quelle in cui la locuzione “su richiesta del beneficiario” è stata sostituita da “su richiesta o meno del beneficiario” (ad esempio, quelle con Cile, Giamaica e Colombia).
L’impossibilità di fruire del credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi
Resta inoltre ancora aperto il nodo circa le modalità a disposizione del contribuente per ottenere il riconoscimento del credito d’imposta.
Ad oggi, stante l’assenza di una specifica sezione della dichiarazione dei redditi, il contribuente potrebbe o indicare nel modello di dichiarazione l’ammontare del dividendo che consenta di liquidare l’imposta dovuta al netto del credito d’imposta (ciò nel caso abbia incassato dividendi esteri senza l’intervento di un intermediario residente), oppure potrebbe (più prudentemente) presentare apposita istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate, al fine di ottenere la ripetizione delle maggiori imposte pagate. Fintanto che l’Agenzia non recepirà l’orientamento della giurisprudenza, l’istanza di rimborso è destinata a essere disattesa, rendendo pertanto necessario avviare un contenzioso innanzi al giudice avverso il rigetto (espresso o tacito) da parte dell’Ufficio.
Conclusioni
Il consolidamento anche nella recente giurisprudenza del principio enunciato dalla Corte di Cassazione nel 2022 non può che essere accolto con favore.
Stante l’attuale formulazione dell’art. 165 del Tuir e la posizione assunta dall’amministrazione finanziaria, tale principio rappresenta – a oggi – l’unico rimedio per il superamento (in una vasta gamma di ipotesi) del fenomeno di doppia imposizione che colpisce gli utili di fonte estera percepiti da persone fisiche residenti in Italia.
In tal modo, risulterebbe possibile per il contribuente ottenere un considerevole vantaggio in termini di risparmio d’imposta, come di seguito esemplificato:
Tuttavia, alcune criticità ancora permangono, sia in ragione della portata non generalizzata del rimedio fornito dalla Suprema Corte, sia per la mancanza di una modalità di fruizione del credito diversa dall’istanza di rimborso.
(Articolo scritto in collaborazione con Karim Elsisi, studio Di Tanno Associati)