Avere il sogno di donare una parte del proprio benessere a chi è meno fortunato, per una causa scientifica, medica, sociale. Magari politica. Quale che sia il proprio desiderio di fare del bene, si resta spesso dubbiosi circa la concretezza o meglio l’efficienza dell’operazione. Quanto patrimonio riservare alla filantropia, come esser sicuri che la propria generosità non vada dissipata? Il wealth management più evoluto ha messo a punto i fondi filantropici, veicoli particolarmente apprezzati dagli imprenditori. Abbiamo raggiunto la dr.ssa Stefania Pedroni, head of wealth planning di Intesa Sanpaolo Private Banking, per farci raccontare i vantaggi di uno strumento ancora troppo poco conosciuto.
Che cosa sono i fondi filantropici? Che cos’è un fondo filantropico oggi in Italia?
“Giuridicamente parlando, il fondo filantropico è una donazione modale che viene fatta a una fondazione “ombrello” già strutturata, come può essere per esempio la Compagnia di San Paolo. La fondazione fornisce supporto filantropico al donante, che mantiene il potere di indirizzo: l’attività non si limita all’esecuzione di un bonifico o di disposizioni occasionali. Si tratta di una nuova modalità di filantropia, strategicamente indirizzata. Si supera il concetto – pur nobilissimo – di donazione una tantum. È questa una filantropia che è apprezzata particolarmente da chi ama le metriche di rendicontazione e di monitoraggio, tipicamente gli imprenditori di lungo corso, ma non solo. Chi dona si riserva, grazie a questo veicolo, poteri di indirizzo e di scelta, ragionando sulla logica delle sue elargizioni”.
Qualche esempio di fondo filantropico?
“Un tipico esempio può essere quello della signora diventata vedova e intenzionata a dedicare una borsa di studio a perenne memoria del defunto marito presso il collegio dove lui ha studiato, modificando però il raggiungimento dell’obbiettivo a seconda delle attitudini e dei risultati degli allievi rispetto a determinate tematiche, da lei scelte. O viceversa, un altro caso può essere quello del signore cui è mancata la moglie, la quale aveva il sogno di realizzare un certo progetto di utilità medico-sociale”.
Come funziona lo strumento?
“I fondi filantropici rappresentano una modalità di fare filantropia avvalendosi di una fondazione esistente che si presta al ruolo di intermediario filantropico, ma senza far perdere voce in capitolo al donante o ad un comitato dallo stesso creato. Usualmente si tratta di fondi nominativi, nel senso che a ciascun fondo viene dato un nome a memoria del donante. Noi aiutiamo il filantropo a preparare uno schema contrattuale in cui si esplicitino chiaramente la sua volontà e le logiche di gestione: si produce una sorta di ‘atto istitutivo’.
Nel gruppo Intesa Sanpaolo, grazie al mio ufficio ed in particolare al collega Christian Argiolas, siamo stati gli artefici dei modelli contrattuali di riferimento oggi utilizzati dalle diverse fondazioni intermediario filantropico con cui collaboriamo. Definito il regolamento del fondo, come primo passo il donante dà ordine alla banca di fare un bonifico a fronte di una donazione istitutiva formalizzata davanti a un notaio. La fondazione apre dei rapporti bancari autonomi per ciascun fondo e si occuperà poi di tutti gli aspetti amministrativi e gestionali della donazione. Il banker di riferimento della famiglia proseguirà a gestire gli asset ancorché trasferiti alla fondazione”. È bene ricordare che per un hnwi/uhnwi, anche l’istituzione di un fondo filantropico fa parte di un percorso di pianificazione del patrimonio”.
C’è dunque anche una tematica di gestione delle masse?
“È un impegno che spetta alla fondazione. Resta inteso che la gestione avviene secondo logiche di massima prudenza, di concerto con il banker”.
Cosa sono i fondi filantropici: rispetto alle fondazioni, cosa cambia?
“Vi è una differenza fondamentale fra fondo filantropico e fondazione. Il fondo filantropico è un veicolo che non comporta impegni amministrativi: demanda alla fondazione “ombrello” tutti gli adempimenti gestionali, pur mantenendo le stesse logiche erogative. La fondazione viene ancora preferita da alcune realtà familiari uhnwi; tuttavia risulta molto onerosa dal punto di vista gestionale. Nei fondi non confluiscono immobili o beni mobili registrati, ma usualmente solo conferimenti in denaro. Gli asset vengono mantenuti sui conti della banca”.
Vi è un ticket minimo per aprire fondi filantropici?
“No. Ma non è questo il punto centrale: più che sul ticket, bisogna ragionare sulla progettualità. Nello specifico comunque, non abbiamo avuto esperienza finora di somme iniziali inferiori ai 50.000 euro”.
Come orientare le proprie scelte, una volta istituito il fondo?
“Nella nostra logica di assistenza al cliente, il nostro impegno primario è quello della strutturazione del regolamento contrattuale, quanto alla scelta e all’indirizzo del progetto il donante si avvale della fondazione “ombrello”. Il filantropo può inoltre sempre avvalersi della consulenza (a titolo oneroso) di un soggetto terzo professionista nel campo della philantropy advisory”.
Sembra che il tema sia poco comunicato all’esterno.
“Si. Il motivo è che ancora oggi il grosso della filantropia sconta una questiona di riservatezza. Si è reduci da una mentalità un po’ calvinista: la beneficenza si deve fare in silenzio. A volte i clienti richiedono l’apertura di un mandato fiduciario proprio perché non gradiscono alcuna forma di pubblicità. In generale, è un peccato che l’azione filantropica non possa venire alla luce: comunicandola correttamente possono infatti scattare degli interessanti processi emulativi”.