Il continente africano possiede il più consistente potenziale implicito di sviluppo economico e sociale del corrente secolo. Spetta ai paesi occidentali, inprimis all’Unione europea e ai suoi stati membri, elaborare modelli e strategie di sviluppo inclusive, coordinate e lungimiranti. Nell’attesa e nella speranza che questo accada, le aziende e le entità che già hanno intrapreso relazioni economiche con controparti residenti in questi paesi si confrontano con realtà molto eterogenee, caratterizzate da differenti gradi di evoluzione socio-politica e variegati “sistemi-paese”.
Lo sviluppo e la sostenibilità delle relazioni economiche internazionali tra le aziende dipendono fortemente sia dal contesto ambientale del paese di origine sia da quello esistente nel paese di destinazione. Le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni rappresentano strumenti legislativi fondamentali affinché gli interessi cross-nazionali di persone ed enti, sia in ambito di business sia in ambito privato, siano opportunamente tutelati. Dopo tutto, a nessuno piace essere tassato due volte, indipendentemente dalla cittadinanza, e soprattutto terrorizza l’idea di una seconda tassazione applicata dall’avido, ingordo e rapace stato Italiano. Negligenza, mancanza di tempestività e di senso di responsabilità sono fattori caratterizzanti l’attività degli organi legislativi occupati a perpetuare iniziative non più attuali.
La presenza di tali convenzioni bilaterali tra l’Italia e un paese straniero presuppone la condizione che esistano prioritariamente (o siano esistite in passato) relazioni diplomatiche efficaci, tali da permettere la conclusione di un iter legislativo di approvazione e adozione di detti trattati, sia in Italia che nel paese contraente. I trattati sono infatti volti a favorire il coordinamento tra le rispettive norme fiscali, a beneficio di persone, società ed enti e nell’obiettivo di sostenere gli interessi e le iniziative economiche ed evitando fenomeni di doppia tassazione.
Sebbene l’Italia intrattenga relazioni consolidate con i paesi dell’Africa mediterranea, il Sudafrica e i molteplici paesi dell’Africa sub-sahariana, è possibile contare solo 15 convenzioni contro le doppie imposizioni “adottate” e “in vigore” con il nostro paese, di cui 8 con paesi sub-sahariani: Congo (Brazzaville), Costa d’Avorio, Etiopia, Ghana, Senegal, Tanzania, Uganda, Zambia. A eccezione delle convenzioni in essere con la Costa d’Avorio, la Tanzania e lo Zambia, tutte le citate convenzioni sono state stipulate a partire dalla fine degli anni ‘90 e sono entrate in vigore nel corso degli anni 2000.
I modelli di convenzione adottati in questi casi sono modelli di convenzione Ocse piuttosto attuali, già aggiornati con alcune prassi internazionali che si sono affermate nel corso degli ultimi trent’anni, soprattutto più attuali rispetto a quelle in essere tra l’Italia e paesi più sviluppati (ad esempio Germania e Francia – 1992).
Rappresenta un caso particolare, se non addirittura unico, il Kenya, paese noto alle cronache italiane sia come meta turistica sia per la presenza in loco di numerosi imprenditori italiani, più o meno noti. La convenzione tra Italia e Kenya è stata firmata la prima volta a Nairobi il 15 ottobre 1979, successivamente ratificata in Italia con la legge 7 ottobre 1981 n. 666 e modificata da un successivo provvedimento di modifica (legge del 27 gennaio 2000 n. 10). La convenzione non è mai stata pubblicata in Gazzetta ufficiale e non è pertanto entrata in vigore nell’ordinamento italiano. La conseguenza diretta per gli imprenditori italiani e kenioti è che in caso di coesistenza di redditi in ambedue i paesi e di condizioni che determinano la residenza (fiscale) in ambedue i paesi, non esiste una convenzione di coordinamento che permetta di evitare il rischio di una doppia tassazione dei medesimi redditi.
Tale “rischio doppia-tassazione” colpisce sia gli imprenditori persone fisiche che le società, i dipendenti, i docenti, i professionisti, gli artisti, gli atleti e sportivi professionisti e gli altri enti economici identificati normalmente all’interno delle convenzioni Ocse. Sono anche a rischio i pensionati pertanto, a differenza di Portogallo e Spagna, la decisione di passare il periodo post-pensionamento sulle spiagge keniote potrebbe non essere tanto conveniente.
Se lo sviluppo socio-economico degli stati dell’Africa sub-sahariana è correlato anche alle strategie e alle iniziative poste in essere dall’Unione europea e dai suoi Stati Membri, potrebbe essere un importante passo in avanti intraprendere percorsi diplomatici volti a incrementare il numero di convenzioni contro le doppie imposizioni oggi esistenti. Ad esempio con riferimento all’Italia, le iniziative intraprese da cittadini e aziende italiane avrebbero da un lato un quadro normativo di coordinamento certamente più chiaro di quello attuale, e dall’altro si agevolerebbero forme di re-investimento e di cooperazione delle seconde e terze generazioni di immigrati, con sicuri effetti positivi dei sistemi paese (italiano/unionale/subsahariano) nel loro insieme.
Un quadro normativo chiaro e facilmente interpretabile garantisce la fiducia di imprenditori seri e rispettati, tutela la loro capacità imprenditoriale, assicura la sostenibilità del sistema economico a beneficio delle generazioni future. Un quadro normativo efficace ed efficiente, non solo di facciata.