Sono 1306 le aziende in Italia con almeno un trust tra gli azionisti
La correlazione positiva tra buona governance e trust e le diverse sfaccettature dell’operatività dei trustee
L’esperienza di alcuni casi di successo
In questo ambito si è svolto il seminario organizzato da Step Italy che ha approfondito il tema “Trust al vertice delle catene di controllo: i profili di governance”. A moderare il tema Fabrizio Vedana, avvocato e membro del direttivo Step che ha coordinato gli interventi di Guido Corbetta (professore Università Bocconi) e degli avvocati Massimiliano Campeis Tep (Studio Avvocati Campeis) e Raffaella Sarro Tep (La Trust Company).
Innanzitutto, quanti e quali sono i trust in Italia? A rispondere a questo quesito la ricerca del professor Corbetta che ha illustrato i risultati di un’indagine di cui vengono riportate di seguito alcune tabelle. Le premesse metodologiche hanno considerato tutte le aziende (fonte: Aida e Orbis) dai seguenti requisiti:
- con sede legale in Italia
- con le forme giuridiche delle società di capitali
- con una società italiana o straniera nell’azionariato che svolge il ruolo di trustee
- attive a fine dicembre 2020
- con almeno 1 bilancio depositato negli ultimi tre anni 2017 – 18 – 19
- con qualsiasi livello di fatturato (anche 0 ma con un totale dell’attivo netto superiore a 1 milione)
- con 1 (o più) trust nell’azionariato che detengono complessivamente più del 3% del capitale
Interessanti anche le evidenze a confronto con i dati dell’Osservatorio Aub (Aidaf, UniCredit, Bocconi)
- Unitarietà della partecipazione ed esercizio uniforme dei diritti connessi allo status di socio (no voto divergente / stallo decisionale)
- Segregazione patrimoniale (no ripercussioni su assetti proprietari e continuità decisionale)
- Esercizio dei diritti connessi allo status di socio in esecuzione del programma destinatorio:
– consente di implementare e mantenere un sistema di governance evoluto, con distinzione netta tra impresa e famiglia, fondato sulla valutazione delle competenze più che dell’appartenenza e su criteri di efficienza ed accountability;
– permette di attuare la trasmissione generazionale in maniera graduale o di gestire in maniera efficiente tutte le situazioni in cui i discendenti non siano capaci od interessati alla conduzione dell’impresa.
In materia societaria i trust possono essere di due tipi:
- «voting trust»: trust (di scopo / per beneficiari) in funzione di patto di sindacato, istituito per gestire in maniera uniforme il diritto di voto di più soci, per un determinato periodo di tempo o sino al verificarsi di una condizione.
- «trust holding» / trust «di passaggio generazionale»: trust, per beneficiari, nel quale siano conferite, da uno o più disponenti, partecipazioni societarie (normalmente di controllo della holding familiare), con la finalità di gestire le stesse per un periodo di tempo determinato, impiegarne le utilità economico-reddituali in conformità alle previsioni dell’atto istitutivo e, sopraggiunto il termine finale, trasferirle ad uno o più soggetti (solitamente, discendenti in linea retta).
Il conferimento nel fondo in trust delle partecipazioni societarie implica il trasferimento al trustee dei diritti connessi allo status di socio che formano oggetto del potere, di natura fiduciaria, del trustee, e devono pertanto essere esercitati nell’interesse dei beneficiari.
La governance del trustee è un tema molto delicato e può avere varie sfaccettature. L’operatività del trustee, soprattutto per le trust company professionali, può essere infatti guidata dalle cosiddette clausole di disinteresse che escludono l’intervento nella gestione della società a meno che il trustee abbia notizia di illeciti dell’organo amministrativo di particolare rilevanza.
È però possibile che il trust eserciti parzialmente i diritti connessi allo status di socio secondo clausole regolamentate che limitano la sua discrezionalità. Tali clausole possono prevedere che il trustee sia tenuto ad agire seguendo l’indicazione fornitagli da un terzo (generalmente, il disponente o il guardiano) oppure che, prima di agire, richieda il parere di un terzo (normalmente, con la precisazione che il trustee è libero di seguirlo o meno e comunque di non seguirlo qualora non lo ritenga coerente alle finalità del trust). Questo esercizio parziale appare maggiormente rispettoso dei principi di buona governance dato che il momento assembleare ha un ruolo essenziale per la piena informativa dei soci non coinvolti nella gestione e per l’espressione del voto consapevole.
È, inoltre, opportuno che il trustee abbia a propria disposizione dei parametri utili a orientarlo nell’esercizio del diritto di voto avente ad oggetto la nomina dell’organo amministrativo (ma anche su altri temi come destinazione dell’utile o aumento di capitale). E tali parametri possono essere codici di autodisciplina applicabili alle imprese familiari (come Aiaf, Elite e Ned) oppure regole del disponente sulla composizione degli organi societari attraverso atto istitutivo o letter of wishes.
Sulla governance, infine, hanno un ruolo importante il guardiano e i comitati, sulla composizione dei quali è auspicabile non solo la partecipazione dei beneficiari ma anche di professionisti indipendenti.
Il seminario è stato anche l’occasione per un confronto su alcuni casi concreti che hanno fatto emergere come i trust possano essere uno strumento molto versatile in grado di rispondere sia a finalità legate alla continuità aziendale (tipicamente a beneficio degli eredi e dei dipendenti) che a quelle etiche e solidaristiche (a vantaggio dei progetti di beneficenza). In un caso illustrato il disponente del trust ha disciplinato tutti gli aspetti della vita societaria (per es. composizione del consiglio, dei sindaci, scelta dei revisori e determinazione dei compensi) da valere dopo la sua scomparsa. Ha previsto, ad esempio, il divieto di vendita dell’azienda se non si verificano determinate condizioni determinando già le condizioni per liquidare i soci di minoranza. L’azienda, a qualche anno dalla scomparsa del fondatore, gode di ottima salute, ha rifiutato delle offerte di acquisto e ha effettuato investimenti rilevanti.
Un altro caso illustrato ha riguardato un trust realizzato dal disponente con l’ottica di gestire il passaggio generazionale di eredi ancora molto giovani. In questo caso il trust è una sorta di paracadute nel caso che il disponente venga a mancare prima che gli eredi abbiano l’età necessaria per succedere in azienda. Rispetto al caso precedente il trust è stato strutturato con clausole di disinteresse finché il disponente è in vita ed è quindi è l’interfaccia del trustee.