L’Italia, la cui spinta economica maggiore arriva da sempre dalle pmi, si colloca al settimo posto tra i Paesi che ospitano le prime 500 società familiari al mondo.
Eppure non è sempre facile garantire il passaggio generazionale.
Nell’ultimo decennio i leader d’azienda ultrasettantenni sono passati dal 17% al 25,5%: segno che non è immediato per i padri lasciare le redini dell’impresa ai figli.
Anche in questo caso, sono i numeri a parlare: meno del 30% delle aziende a gestione familiare riesce a sopravvivere al secondo passaggio generazionale e appena il 3% affronta con successo il terzo.
È vero, non c’è cosa più bella per un imprenditore che ha dedicato la sua vita professionale a far crescere la sua azienda, di vederla sopravvivere nella generazione futura. Purtroppo, però, le aziende si ereditano, le capacità imprenditoriali no.
Spesso i figli non mostrano la volontà di intraprendere la stessa strada dei genitori, vuoi per mancanza di interesse, vuoi per interesse verso altri settori o professioni.
In questo caso, non tutto è perduto. Si può fare in modo di permettere alla famiglia di restare proprietaria dell’impresa, anche senza l’obbligo di condurla o governarla, ma delegando a manager esterni capaci la gestione dell’attività.
In tutti i casi, però, occorre fare le cose per tempo e con gradualità, non lasciare nulla al caso. La possibilità di sbagliare è molto alta quando è in gioco il sentimento verso i figli.
Gli esperti di gestione aziendale sono concordi nell’affermare che ogni azienda ha la sua storia e le sue dinamiche, differisce per dimensioni, struttura, ruolo della famiglia, obiettivi e valori. Perciò anche il passaggio generazionale può avvenire secondo modalità diverse da azienda ad azienda. Tuttavia ci sono alcuni punti chiave da tenere sempre in considerazione quando occorre pensare alla successione.
I figli sono davvero interessati alla successione? E se lo sono, ne hanno le capacità? Sono due domande impegnative per un genitore. Il genitore deve valutare la situazione in modo oggettivo, senza farsi trascinare dal sentimentalismo. Occorre riconoscere il figlio che non mostra interesse o predisposizione verso l’azienda di famiglia. E se invece si hanno più figli, serve un’analisi oggettiva per capire chi può rivestire una determinata funzione e chi è più adatto a un altro ruolo. In questi casi si possono fare dei test attitudinali o meglio ancora delle esperienze reali in azienda. Fare esperienza al di fuori dell’azienda del genitore mette tutti più tranquilli: il figlio non si sente controllato e il genitore sa che il risultato sarà oggettivo.
2) Scelte
A questo punto, il genitore può capire meglio quale tipologia di passaggio generazionale attuare. Il cambio di redini può essere principalmente di quattro tipi: l’impresa può rimanere a proprietà e leadership familiare, seppur rinnovate; può evolvere verso una situazione in cui la proprietà resta familiare ma la leadership viene affidata all’esterno; può evolvere verso una situazione in cui la leadership resta familiare mentre la proprietà viene estesa ad altri soggetti; può arrivare allo status di impresa non familiare, ossia con una proprietà e una leadership esterne. In realtà, proprietà e leadership possono ancora essere parzialmente familiari, con una relativa apertura verso l’esterno, per cui questi quattro modelli sono più che altro degli schemi di partenza.
3) Uno sguardo dall’esterno
Può essere utile rivolgersi a un consulente esterno per guidare l’intero processo, oppure a un manager esperto e capace per delegare la leadership, o ancora a un investitore per il cambio di proprietà. In ogni caso, il genitore deve capire che non c’è nulla di male nel fare entrare in famiglia un “esterno”, se questo porta come beneficio la sopravvivenza dell’azienda. Anzi, in alcuni casi è l’unico modo per evitare la fine dell’azienda stessa e garantirne la sua crescita attraverso un rinnovamento nel tempo.
4) Pazienza
Il passaggio generazionale non avviene dall’oggi al domani, nemmeno se si ha la fortuna di avere un figlio competente e portato. Serve gradualità per formare e sviluppare il futuro erede per il ruolo che andrà a ricoprire, le sue responsabilità, e anche le difficoltà che andrà a incontrare. Occorre anche spiegare al figlio i valori e la filosofia dell’azienda, perché non è detto che questi siano subito recepiti. Non bisogna dare nulla per scontato.
5) Programmazione
I figli possono anche essere avviati a studi universitari che preparano a sviluppare competenze utili da giocare poi in azienda, sempre che questo sia di loro interesse. In azienda il figlio può poi essere impiegato in diversi ruoli, per sviluppare competenze ed esperienze diverse e conoscere ogni aspetto dell’impresa. Può anche essere affiancato da un tutor o lavorare in team. Si può anche prevedere periodi di tempo ben definiti per ogni ruolo ricoperto, per un processo multi-fase e articolato su un orizzonte pluriennale.
6) Accettazione
Mano a mano che il figlio sviluppa competenze e che diventa pronto alla successione, serve anche che il genitore affronti bene il passaggio prossimo sotto l’aspetto emotivo. Spesso i fondatori dell’azienda sono persone con un certo carisma, abituati a governare ciò che hanno creato a propria immagine e somiglianza. È ovvio che tendano a non lasciare le redini. Ma pur essendo comprensibile dal punto di vista psicologico, questa resistenza produce purtroppo effetti negativi. Il senior perde via via le sue energie e la capacità di restare focalizzato sul futuro. Inoltre tenderà a far fronte al domani sulla base della propria esperienza, senza tener conto del fatto che il domani, anche solo per le forti discontinuità tecnologiche cui stiamo assistendo, sarà radicalmente diverso e non affrontabile con prospettive e strumenti del passato. Per questo motivo le analisi di mercato evidenziano che le aziende condotte da persone troppo anziane performano peggio di quelle condotte da giovani. Prima o poi, bisogna farsi da parte. Infine, gli stessi eredi si consumano mentre aspettano il loro turno. Se l’attesa diventa troppo lunga, perdono nel tempo motivazione e autorevolezza necessaria a fare carriera.
7) Delega
Quando sarà il suo tempo, è bene chiudere il processo di successione formalizzando responsabilità e ruoli definiti durante le fasi di trasferimento della leadership. Si può anche prevedere un periodo di collaborazione al vertice tra genitore e figlio. Attenzione però a distinguere la sfera privata da quella aziendale e professionale. Le discussioni familiari devono rimanere in casa.
Se affrontata in questo modo, la successione diventa anche una grande opportunità per la famiglia e la sua azienda: permette di ridisegnare la strategia, l’organizzazione e il funzionamento dell’impresa, traendo da questo rinnovamento anche nuove energie e nuove opportunità di sviluppo.