Dalla Coca-cola alla musica trap, tutte le principali tendenze culturali e di consumo esplodono prima negli Stati Uniti e poi vengono copiate, con un po’ di ritardo, anche in Italia. Anche nella consulenza finanziaria, l’America è “dieci anni avanti”, ha affermato Giulio Bellotti, head wholesale Italy di Ubs AM, da uno dei numerosi palchi romani di Consulentia 2024. La domanda è quali innovazioni copieranno le reti di consulenza italiane e quali resteranno, invece, prerogative del mercato a stelle e strisce.
Più trasparenza
Fra le ultime tendenze dell’advisory made in Usa ci sono, ad esempio, l’affermazione definitiva della remunerazione diretta del consulente finanziario tramite parcella, l’offerta dei Separately managed accounts (Sma), nei quali vengono gestiti portafogli di titoli direttamente detenuti dal cliente finale e, infine, il passaggio del consulente finanziario da one-man-band dei servizi, ancora predominante in Italia, a quello di componente di un team allargato di consulenza.
Se tutto questo funziona negli Stati Uniti, perché non limitarsi a copiare per stare sulla cresta dell’onda? “Sono convinto che la professionalità dei consulenti non sia un tema, dobbiamo capire quali sono i trend che prenderemo anche noi e quali no”, ha esordito sull’argomento Fabio Cubelli, condirettore generale Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, per il quale buona parte delle differenze fra i modelli possono ricondursi al fatto che la consulenza degli Stati Uniti si rivolge “a target di clientela diversi”. Le tendenze descritte da Ubs, infatti, si applicano alle wirehouse concorrenti come Merrill Lynch, Wells Fargo o Morgan Stanley, “ma il resto dell’offerta dei broker dealer americani si rivolge al segmento affluent e gli upper affluent”. Con modelli che, a quel punto, si avvicinano a quello italiano. “E’ difficile far crescere [finanziariamente] i giovani se lavoriamo solo con gli Hnwi”, ha aggiunto Cubelli, per il quale il modello di consulenza deve essere “compatibile con la realtà nazionale”.
Anche se nessun componente del panel l’ha affermato esplicitamente, è chiaro che l’attenzione degli americani all’assenza di conflitti di interesse nella consulenza finanziaria non è paragonabile a quella dei risparmiatori italiani. “La trasparenza, basata sulla parcella, è stato il modello che ha conosciuto la crescita maggiore nel mercato americano, è un trend che è supportato dal fatto che i clienti vogliono una consulenza sofisticata, ma in assenza di conflitto d’interesse”, ha raccontato Filippo Ilardi, head of wholesale Usa and head of platform partnerships di Ubs AM. “Attraverso questo modello il pricing si sposta dal prodotto, dove tutto era incluso [costo di gestione e di consulenza, Ndr.], al servizio: il consulente viene pagato per il valore che porta”, ha aggiunto Ilardi.
“E’ un modello bellissimo cui tendere”, ha commentato Cubelli, facendo intendere che, però, non sarà facile vedere questa evoluzione fra le reti italiane molto presto. A supporto di questa posizione c’è il dato, rilevato nel 2022 da Consob, che il 57% dei decisori finanziari italiani già assistiti da un consulente non sarebbe disposto a pagare il servizio che sta ricevendo. Di sicuro, per Cubelli il passaggio al modello a parcella non dovrebbe essere forzato a livello normativo, un’ipotesi che la Commissione europea non esclude di poter riportare sul tavolo nei prossimi anni. La rendicontazione dei costi imposta dalla Mifid 2, ha sostenuto Cubelli, non ha fatto rizzare le antenne degli investitori sull’importanza di quelle informazioni. “Dobbiamo migrare dall’offerta di prodotti all’offerta di servizi”, ha aggiunto Cubelli, “ma è un percorso lungo”.
Più gioco di squadra
Un tema sul quale, forse, c’è più apertura da parte delle reti è quello del servizio di consulenza fornito in squadra. In America, “l’80% dei consulenti lavora in team, ma in Italia la professione resta individualista”, ha affermato Bellotti. Il teamworking, ha aggiunto Ilardi, “è una leva di crescita per le reti di maggiori dimensioni: non apporta solo produttività, ma è anche un modo per portare i giovani nelle strutture”, oltreché promuovere la diversità di genere. Inoltre, introdurre giovani ed esperti negli stessi team permette aumenta le chance di trasmettere i patrimoni in gestione quando avviene il pensionamento degli advisor più anziani.
Più investimenti alternativi
La terza tendenza che sta prendendo sempre più piede negli Stati Uniti è quella degli investimenti alternativi, ossia in strumenti che investono su asset class non quotate. In Italia il tema non suona nuovo (di certo non lo è per i lettori di questo giornale), ma sono i numeri a fare la differenza. Negli Stati Uniti, gli alternativi rappresentano il pane quotidiano della gran parte dei consulenti finanziari, che da questi prodotti continuano a percepire rendite elevate, ha spiegato Bellotti, al punto che il consulente finanziario americano genera “almeno il 30% del suo fatturato dai mercati privati”.
“Gli alternativi hanno visto una crescita enorme e vediamo che stanno entrando sempre di più anche nelle reti di distribuzione che si rivolgono a un segmento di distribuzione mass affluent”, ha affermato Ilardi. Si tratta di un’apertura non di poco conto, se si considera che la democratizzazione dei private market sembra essere un affare accessibile solo agli investitori più facoltosi, almeno in Italia. Sulle possibilità di copiare questo trend americano, però, Cubelli ha messo il piede sul freno. “Il tema è nella cultura dell’investimento: ancora oggi facciamo fatica a far capire ai clienti la rinuncia della liquidità a breve termine in cambio di un rendimento maggiore”, ha affermato Cubelli, “pur essendo partiti sette otto anni fa con gli alternativi, questi ultimi rappresentano ancora il 2% del portafoglio investito dai nostri clienti”.