Nel mese di gennaio il pmi composito dell’Eurozona è scivolato ancor di più sotto la soglia neutrale (47,5). Allo shock dei servizi si affianca anche una minor espansione nel manifatturiero
In Italia i settori manifatturieri più colpiti (con crolli di attività superiori al -20%) sono l’automotive e quelli legati alla filiera della moda (tessile, abbigliamento e pelle). Sul versante opposto si posizionano i settori dell’alimentare-bevande e del farmaceutico
Secondo i ricercatori, nel 2021 il fatturato dovrebbe risalire in parte e il cash flow tornerebbe positivo quasi ovunque. Ma la situazione debitoria resterebbe critica. Specialmente nel manifatturiero
Eurozona: chiuso il rubinetto della crescita
Stando alla confederazione, nel mese di gennaio il pmi composito dell’Eurozona è scivolato ancor di più sotto la soglia neutrale (47,5). Allo shock dei servizi si affianca anche una minor espansione nel manifatturiero e oltre una famiglia su dieci lamenta una peggiore situazione finanziaria, facendo impennare la quota di risparmiatori al 24%. In Italia, nel dettaglio, il pmi dei servizi ristagna a 39,7 punti a fine 2020, “a causa della riduzione degli ordini, domestici ed esteri, legati alle misure di contenimento della pandemia”, spiegano i ricercatori, mentre nell’industria sale a 52,8 punti, indice di un miglioramento dell’attività nel mese di dicembre.
L’impatto della crisi per settori
Il bilancio relativo allo scorso anno, tuttavia, rivela come la produzione manifatturiera sia crollata di circa il 13% nei primi undici mesi rispetto allo stesso periodo del 2019. Una caduta concentrata principalmente tra febbraio e aprile, “quando la produzione aveva raggiunto (in media) valori inferiori di oltre il 50% rispetto a quelli pre-covid”, per poi recuperare nei mesi estivi (+29%) e contribuire in tal modo a contenere le perdite nell’anno. Quanto ai settori, si passa da un picco del -92,8% dei prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico (facendo riferimento alla produzione di aprile 2020 su gennaio). Complessivamente, i settori manifatturieri più colpiti (con crolli di attività superiori al -20%) sono l’automotive e quelli legati alla filiera della moda (tessile, abbigliamento e pelle). Sul versante opposto si posizionano i settori dell’alimentare-bevande e del farmaceutico, che riportano a fine anno una perdita contenuta del -5% rispetto al 2019.
Prestiti emergenziali: cura o condanna?
Intanto, sebbene i prestiti emergenziali abbiano contribuito a contenere la crisi di liquidità delle imprese tricolori, secondo i ricercatori hanno finito per accrescere “troppo il peso del debito”. Nell’industria, in particolare, la situazione debitoria risulta peggiorata in tutti i settori, compreso l’alimentare e il chimico-farmaceutico. Per l’automotive, metallurgia e macchinari, “non è neanche possibile stimare il numero di anni che servirebbero a estinguere il debito”, precisano. “Una situazione che rischia di diventare insostenibile e rende arduo realizzare investimenti ai ritmi pre-crisi: se le risorse interne venissero impiegate solo per rimborsare il debito, l’impresa non avrebbe i mezzi per nuovi progetti”, aggiungono i ricercatori, secondo i quali nel 2021 la situazione potrebbe restare tesa, ma meno critica.
“Il fatturato dovrebbe risalire in parte e il cash flow tornerebbe positivo quasi ovunque. Tuttavia, in tutti i settori il debito resterebbe pesante: nel manifatturiero servirebbero 5,4 anni di cash flow, più del doppio del 2019. Nei servizi quattro anni. E questo valore medio non rende appieno le difficoltà di comparti come alloggio-ristorazione e commercio, dove l’onere per interessi resterebbe oltre il 10% delle risorse interne”, concludono. Nel frattempo, continua a calare la fiducia delle imprese del commercio, resta bassa negli altri servizi, mentre si conferma più elevata nell’industria. Anche a inizio 2021.