L’Italia a due velocità si osserva con chiarezza dall’ultima fotografia scattata da Assogestioni sui detentori di fondi comuni e Sicav. Anche se meno della metà della popolazione risiede al Nord, il 69% delle masse investite proviene da questa regione, lasciando al Centro il 17% e al Sud e alle Isole solo il 13%. Questa disparità regionale riflette non solo una differenza nella distribuzione della ricchezza, ma anche un’opportunità significativa di sviluppo per il business delle reti attraverso una maggiore inclusione finanziaria nel Sud Italia.
Fondi, la “prateria” inesplorata del Sud
“I dati ci dicono che lo sviluppo potenziale, piuttosto che dalle regioni del Nord, può arrivare dal Sud”, ha dichiarato Riccardo Morassut, Senior Research Analyst dell’Ufficio Studi Assogestioni, sottolineando come il Sud Italia rappresenti un terreno ancora poco valorizzato dalle reti. Lo stock di liquidità nel Settentrione è molto più ridotto poiché si investe molto di più, “non solo in fondi”, il che riduce la potenzialità di un’ulteriore vendita di fondi. Al contrario, nel Sud Italia, la componente di risparmio liquido è in proporzione molto significativa, con uno stock di risparmio “fermo” che in Calabria e Basilicata, per fare i due esempi più eclatanti, raggiunge il 55%.
Tuttavia, le reti e gli sportelli bancari tradizionali “sono arretrati molto nel Mezzogiorno”, ha affermato Morassut, benché lo spazio per crescere sarebbe “enorme per le reti: praterie”. Poste italiane, con la sua presenza capillare sul territorio, potrebbe essere in una posizione più favorevole per espandere la distribuzione di fondi nel Sud Italia, ha aggiunto.
“Old money”: il profilo dei sottoscrittori di fondi
Il sottoscrittore di fondi italiano è ancora spostato sulle generazioni Boomer e Gen X, che rappresentano il 70% dei sottoscrittori dei fondi e il 72% del patrimonio investito. Gli anziani nati non oltre il 1945 rappresentano ancora il 23% dei capitali investiti in fondi, pur essendo solo il 16% dei sottoscrittori e meno del 10% della popolazione italiana generale. Il mondo del risparmio gestito diventa accessibile solo raggiunta un’età matura: tanto che i sottoscrittori Millennial e Gen Z sono ancora numericamente inferiori rispetto ai detentori di fondi d’investimento nati entro il 1945.
Come sottolineato in precedenza da Aipb, il passaggio generazionale più vicino e significativo per l’Italia sarà quello fra la Silent Generation in favore di Boomer e Gen X – mentre i Millennial potrebbero ricevere masse significative in eredità solo in una seconda fase. “Nonostante l’apparenza, questi numeri sono da leggersi in modo positivo per i giovani”, ha affermato Morassut. “Rispetto a un anno fa, la partecipazione delle due generazioni più giovani è passata dal 13% al 15% e, di conseguenza, anche il patrimonio detenuto da Millennials e Gen Z è salito dal 5% al 6% del totale”.
L’età avanzata dei sottoscrittori dei fondi fa il paio con una forte concentrazione dei capitali nella parte più ricca della popolazione. “Il patrimonio resta concentrato sul quartile più alto, i cui sottoscrittori detengono circa tre quarti dell’investimento totale”, ha dichiarato Morassut. “Metà degli 11 milioni circa di investitori accede ai fondi con cifre inferiori alla mediana che è pari a circa 20mila euro”. Nella sostanza, questo significa che c’è una grande quantità di sottoscrittori che comprano anche solo un fondo, impegnando cifre modeste, mentre il grosso delle masse investite si concentra fra gli investitori con le tasche più profonde. Basti dire che il 78% delle masse investite in fondi internazionali si concentra nel quarto più elevato, il cui investimento mediano supera i 49mila euro in fondi.
Giovani investitori: più Pac, più azioni (ma sempre con prudenza)
Le modalità utilizzate dai più giovani per investire in fondi privilegiano il piano d’accumulo (Pac) rispetto all’investimento in un’unica soluzione (Pic): se per la media nazionale il Pac rappresenta solo il 21% delle modalità di sottoscrizione, per Millennials e Gen Z si attesta oltre il 50%.
I giovani sono anche più propensi a investire in fondi azionari rispetto alla media: i Millennials sono l’unica generazione a dedicare a questi fondi con maggior potenziale di guadagno a lungo termine oltre il 30% della propria allocazione in fondi. Questa maggiore propensione al rischio è coerente con l’orizzonte temporale più lungo dei giovani, che avranno più anni per recuperare eventuali crolli di mercato e chiudere la propria posizione con profitto. Tuttavia, ha sottolineato il vicepresidente del Comitato Comunicazione di Assogestioni, Luca Tenani, questo 32% di allocazione azionaria rimane basso in termini assoluti per gli investitori più giovani, confermando come, anche in questa fascia più ambiziosa, il risparmiatore italiano risulti nettamente più avverso al rischio rispetto a quello statunitense.
Fondi italiani: i più venduti in banca, i più esposti al mercato nazionale
I fondi domiciliati in Italia, quelli statisticamente più propensi a sovraesporre il portafoglio degli italiani al mercato nazionale (un fenomeno negativo noto come home bias), sono per la quasi totalità distribuiti dagli sportelli bancari (95%). Al contrario, i fondi cross border, che in quasi la metà dei casi vengono distribuiti dai consulenti finanziari, hanno un’esposizione specifica al mercato italiano pari solo al 3% – quota che sale al 28% nei fondi domiciliati in Italia.
Insomma, le probabilità di incorrere nella sovraesposizione all’Italia tendono ad aumentare se l’interlocutore è un bancario piuttosto che un consulente abilitato all’offerta fuori sede. Nel mezzo fra questi due estremi si collocano i fondi esteri a distribuzione concentrata, al cui interno si trovano i gestori appartenenti a noti gruppi bancari come Eurizon, Bnp Paribas AM o Fineco AM: in questa categoria, distribuita tramite consulenti per il 37%, la quota di azioni e bond italiane si attesta al 13% circa.