Il mercato del “private placement” attira sempre più startup. Il dato per il 2019 è di 40 miliardi di dollari, in crescita del 37% rispetto all’anno precedente
AngelList, Forge Global e Carta sono solo alcune società che hanno costituito delle “borse valori private”. Carta prevede di generare un miliardo di ricavi nel 2024
Dietro il collocamento privato c’è il rischio che, in mancanza di dati pubblici, gli investitori facciano affidamento su conti che “pompati”
Le borse valori private
Laddove domanda e offerta sono elevate, generalmente fioriscono molte società dedicate a farle incontrare. È sicuramente il caso dei mercati secondari privati che fino a poco tempo fa ??assomigliavano a “quel tizio con un trench che ti vende orologi a Times Square”, dice Inderpal Singh, che guida un progetto di mercato secondario privato presso il marketplace di start-up AngelList. “Nell’ultimo anno c’è stato un grande cambiamento.” Oltre ad AngelList, JPMorgan e la start-up software Carta hanno iniziato ad agevolare gli scambi in aziende private. Competono con giocatori affermati come Nasdaq e Forge Global, che ha acquistato il mercato rivale SharesPost in un affare da 160 milioni di dollari l’anno scorso, così come decine di broker indipendenti più piccoli. L’obiettivo di Ward, ceo di Carta, è quello di rendere CartaX un concorrente del Nasdaq per il finanziamento delle start-up tecnologiche. L’aspettativa di Henry Ward è quella di generare nel 2024 un 1,1 miliardi di dollari in profitti. Questo implicherebbe, alla luce della commissione del 1% applicata sia su venditori che acquirenti, un volume di affari di 55 miliardi di dollari: il 3% delle azioni delle start-up miliardarie dovrebbe cambiare di mano. Secondo CbInsights infatti i 546 “unicorni” detengano un valore collettivo di 1,8 mila miliardi di dollari.
Il rischio del collocamento privato
Sebbene in auge la collocazione privata non è esente da rischi. Il pericolo principale in cui possono incappare gli investitori è una minor trasparenza sui conti della società non resi pubblici. Esemplificativo è il caso di Jumio, società di pagamenti redditizia e in rapida crescita fondata da Daniel Mattes, che nel 2014 aveva perseguito la via del collocamento privato. All’epoca gli investitori diedero fiducia a Jumio, sulla base di ricavi di 100 milioni di dollari per il 2013, una somma considerevole per un’azienda di appena tre anni. Due anni dopo, Jumio dichiarò bancarotta e le azioni della società divennero prive di valore. In realtà, secondo la Sec, Jumio aveva realizzato solo un decimo dei ricavi dichiarati e Mattes aveva aggirato il suo consiglio di amministrazione, vendendo circa 14 milioni di dollari delle proprie azioni.