Nella continua ricerca di individuare nel comportamento del collezionista i presupposti per assoggettare a tassazione o meno le plusvalenze sulle vendite dei beni presenti nella sua raccolta, si delinea la figura del “collezionista ibrido”, che è un po’ appassionato e un po’ speculatore. Si ritrova cioè nel collezionista sia l’interesse culturale, tipico del collezionista puro, sia quello speculativo, tipico di chi compra per rivendere e realizzare un guadagno, anche se lo fa occasionalmente. Il collezionista ibrido viene tassato quindi solo sulle operazioni in cui si comporta come uno speculatore, anche se di base è un collezionista puro.
Il collezionista ibrido: una nuova figura secondo il Fisco
Ancora una vota è la giurisprudenza a compiere un passo in avanti nell’interpretazione di una normativa fiscale non puntuale (cfr. sentenza n. 86/2024 del 28.06.2024 CGTPG di Lecco), almeno fino alla prossima attesissima riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. E così le automobili e le motociclette detenute in una raccolta privata e vendute nel corso di un triennio di osservazione sono state in parte assoggettate a tassazione e in parte ritenute semplici dismissioni patrimoniali non rilevanti fiscalmente, partendo da un accertamento iniziale dell’amministrazione finanziaria che contestava invece per tutte l’attività imprenditoriale.
Chi è il collezionista?
Secondo una definizione giuridica pacificamente riconosciuta, il collezionista è “colui che acquista opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento primario di rivenderla generando una plusvalenza”. Questo significa che il collezionista non ha principalmente interesse al valore economico di ciò che acquista, ma il suo interesse è al valore estetico-culturale del bene, al piacere di possedere il bene, all’interesse per il settore collezionistico seguito e al frequentare l’ambiente vedendo fiere ed eventi collegati ai propri interessi. L’aspetto discriminante è quindi l’interesse sottostante all’acquisto di ciò che colleziona. L’interesse allora, se è quello di conseguire un utile e si compiono atti per la valorizzazione del bene, diventa speculazione anche se gli acquisti sono occasionali, mentre se da occasionali le operazioni di compravendita sono “abituali” il collezionista diventa imprenditore.
Come classificare il collezionista appassionato, speculatore o imprenditore
Le conseguenze fiscali di questa tripartizione sono di non tassare il collezionista puro e di assoggettare a imposizione lo speculatore e l’imprenditore. Per poter qualificare il collezionista in una o più delle categorie di cui sopra è necessario valutare una serie di criteri che possono essere così individuati: scopo dell’acquisto, frequenza e numero delle transazioni, durata del possesso, attività finalizzate a facilitare la vendita, esame delle ragioni che hanno portato all’alienazione. Altro punto di fondamentale importanza da considerare è l’abitualità nelle operazioni di vendita, da intendersi come sistematicità e professionalità dell’attività. Elementi significativi in tal senso sono: il numero delle transazioni effettuate, gli importi elevati, il quantitativo di soggetti con cui vengono intrattenuti rapporti, la varietà della tipologia di beni alienati. Se ricorrono, il venditore è con ogni probabilità un commerciante più che un collezionista, per cui l’attività del privato venditore può produrre reddito d’impresa. Di conseguenza, solo se il privato non eserciterà abitualmente l’attività di cessione di oggetti da collezione, potrà essere considerato uno speculatore occasionale o un collezionista, da differenziare in base a criteri quali la finalità dell’acquisto e la durata temporale del possesso prima della rivendita.
Dall’attività complessiva, ora il Fisco analizza la singola operazione
Fino ad oggi, la giurisprudenza si è adoperata per inquadrare caso per caso la tipologia di collezionista in una delle tre categorie in base ai comportamenti tenuti in concreto e agli elementi caratterizzanti di ciascuna categoria. L’analisi è stata condotta sulla posizione complessiva, cioè partendo dagli acquisti iniziali dei beni inseriti nella raccolta alla loro rivendita tenendo conto di tutto quanto fatto nel mezzo e cioè tra i due momenti (esposizioni, prestiti, mostre ecc.). Ora invece, pur partendo dall’assunto iniziale di collocare il collezionista in una delle tre note categorie si arriva ad analizzare le singole operazioni per valutarne la rilevanza o meno fiscale. Questo perché le motivazioni delle vendite effettivamente possono variare di volta in volta.
La necessità familiare e la difficoltà economica
E così, se il collezionista dimostra attraverso la documentazione che lo stato di necessità familiare e il momentaneo periodo di difficoltà economica lo hanno indotto ad alienare una parte della propria collezione, non potrà subire la tassazione del provento ottenuto dalla vendita. Ma se lo stesso collezionista per altre vendite ha effettuato scambi in un limitato spazio temporale (tre anni), tale comportamento lo inquadra nella fattispecie dello “speculatore occasionale” e i relativi ricavi dovranno essere tassati quali redditi diversi. E ciò anche se il collezionista è tale da lunghissima data.
Per escludere invece di ricadere nella categoria del collezionista commerciante, per il quale si aggiungono anche Iva e Irap, deve ricorrere la cadenza non regolare delle transazioni e il numero stesso delle transazioni se risibile. In tal caso non viene soddisfatto il requisito dell’abitualità che caratterizza questa categoria di collezionista-mercante.
Articolo tratto dal numero di novembre 2024 de magazine We Wealth. Abbonati qui.
In copertina: Alberto Burri, Rosso plastica, 1962. Courtesy Artsupp.