Inizialmente, le clausole di liquidation preference sono state pensate per proteggere gli investitori nell’ipotesi di exit poco remunerative o, addirittura “in perdita”, vale a dire quelle in cui gli investitori – in assenza di tali downside protection – non ritornerebbero nemmeno del capitale investito.
(i) parteciping, attraverso cui viene riconosciuto al venture capitalist il diritto di rientrare, in via preferenziale rispetto agli altri soci, del capitale investito, aumentato di un tasso di interesse annuo composto convenuto tra le parti, il cosiddetto hurdle rate, dopodiché gli eventuali proceed rimanenti vengono distribuiti pro-quota e pari passu tra tutti i soci, quindi incluso l’investitore stesso;
(ii) non partecipating, la quale invece prevede che il venture capitalist abbia il diritto di ricevere in via preferenziale rispetto agli altri soci il maggiore valore tra il capitale investito, aumentato dell’hurdle rate, e quanto riceverebbe in caso di distribuzione pro-quota e pari passu dei proceeds. Fin qui tutto secondo le regole.
Nella prassi, la participating liquidation preference risulta la scelta largamente più diffusa. Ovviamente questa tipologia di protezione ha un senso qualora applicata ad exit povere o modeste dove l’investitore, grazie a questa protezione, recupera tutto (o quasi) il capitale investito e un eventuale interesse.
Ma possiamo dire che tale meccanismo sia altrettanto fair in una ipotesi di exit da “unicorno”?
In tale caso, infatti, l’investitore non solo riceve un multiplo a doppia cifra sul suo investimento vendendo la propria partecipazione, ma anche (e in via preferenziale) l’intero ammontare del capitale stesso, per di più maggiorato di un interesse. In questo contesto, quindi, ci si interroga se la logica per cui sono state coniate tali strutture protettive non diventi eccessivamente distorsiva, divenendo non solo una protezione in caso di down side, ma anche una sorta di garanzia su un up side oltre le migliori ragionevoli aspettative di ritorno.
L’utilizzo di tale meccanismo inizia a farsi strada soprattutto quando la stratificazione delle liquidation preference dei vari round di investimento che si sono susseguiti inizia ad essere complessa e corposa.
(Articolo scritto in collaborazione con Maria Flora Cafiero, Lca Studio Legale)