- Le piccole e medie imprese italiane sono circa 4,9 milioni, molte delle quali composte da meno di 10 persone, tra cui professionisti, ditte individuali o aziende a conduzione familiare
- Chilelli: “Sta all’industria del risparmio gestito mettere in collegamento gli investitori istituzionali – come fondi pensione, casse e assicurazioni – con queste aziende”
Intervista realizzata da Pieremilio Gadda
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In Italia si calcolano oltre 5 milioni di aziende, stando ai più recenti dati dell’Istat. Di queste, circa 4,9 milioni sono di piccola e media dimensione, molte delle quali composte da meno di 10 persone, tra cui professionisti, ditte individuali o aziende a conduzione familiare. Si tratta di realtà che desiderano crescere, anche velocemente. Qual è il ruolo dell’industria del risparmio gestito in questo contesto? Si può davvero parlare di una “democratizzazione” dei mercati privati? We Wealth ne ha discusso con Silvana Chilelli, amministratrice delegata e direttrice generale di Eurizon Capital Real Asset intercettata in occasione dell’ultima edizione del Salone del risparmio.
Sappiamo che il tessuto imprenditoriale italiano è rappresentato in larga parte da aziende di piccola e media dimensione che hanno bisogno di crescere. Sappiamo anche che il ruolo del sistema bancario è sempre meno rilevante da questo punto di vista. Qual è il modo più efficace per indirizzare i capitali degli investitori proprio a favore di queste imprese?
L’industria italiana è fatta sostanzialmente di pmi non quotate. Su questo fronte, intravedo due necessità. Da un lato, per gli investitori è importante investire nei mercati privati. Dall’altro, molti imprenditori hanno già fatto un salto, sono aperti ad aprire il capitale di debito e il capitale di rischio a fondi di debito e a fondi di rischio per favorire la crescita o per risolvere il passaggio generazionale. Sta all’industria del risparmio gestito mettere in collegamento gli investitori istituzionali – come fondi pensione, casse, assicurazioni e famiglie private – con queste imprese. Credo che ci sia un’opportunità per entrambi. Sicuramente in Italia il tema dell’equity è più rilevante, ma anche i fondi di private debt sono importanti. E sono complementari alle banche, non in contrapposizione. Tant’è che anche noi abbiamo lanciato un fondo di private debt.
Ecco, ci aiuta a capire quali sono le soluzioni che consentono di trovare la sintesi tra questi bisogni convergenti degli investitori istituzionali e privati da una parte e delle imprese dall’altra?
È importante ricordare che gli investimenti privati offrono sicuramente buoni ritorni, ma occorrono competenze specifiche per selezionare sia i fondi sia la tipologia di asset. Non è un mondo in cui si può improvvisare.
Non è per tutti…
Esattamente, ma anche perché la dispersione dei risultati in termini di rendimento è enorme. Quindi serve qualcuno che ha competenze professionali ed esperienza per scegliere i fondi e le aziende. Noi investiamo in fondi di terzi, sia sull’equity sia sul debito e portiamo l’investimento raccolto dagli investitori istituzionali e dalle famiglie. In aggiunta, abbiamo creato prodotti specifici, sfruttando lo strumento del Pir alternativo, per permettere anche agli investitori privati di entrare in contatto diretto col mondo dei private market.
Questo è un altro tema centrale su cui l’industria si sta interrogando da tempo, quello della “democratizzazione” dei mercati privati. Si tratta di un termine che non piace a molti – e per ragioni molto valide – ma si evidenzia uno sforzo nel rendere più accessibile queste opportunità di investimento. Quali sono i vincoli? Qual è il perimetro corretto per far funzionare questa maggiore apertura agli investitori privati, secondo lei?
Io separerei le diverse categorie. Per l’investitore retail il modo più facile per accedere ai mercati privati è farlo attraverso veicoli già esistenti, come le assicurazioni o i fondi pensione. Il sottoscrittore di una polizza vita ha la possibilità, attraverso l’investimento delle sue riserve tecniche, di accedere ai mercati privati. Questo le assicurazioni e i fondi lo fanno in maniera estremamente professionale, gestendo in maniera controllata il rischio. Non dimentichiamoci che parliamo di investimenti illiquidi. D’altro canto, invece, per gli investitori più sofisticati, con patrimoni più rilevanti, è possibile anche accedere direttamente. Però noi consigliamo sempre la cautela, in un regime di consulenza professionale.