L’elemento di peculiarità dei certificati a gestione attiva è, invece, la discrezionalità nella gestione dei sottostanti, che costituisce, un forte anello di congiunzione con i fondi comuni di investimento.
Da un punto di vista prettamente finanziario, gli actively managed certificate consentono di coniugare i punti di forza dei prodotti strutturati (struttura fiscale favorevole, soglie di ingresso più basse, velocità nell’emissione, struttura dei costi più efficiente) con quelli dei fondi di investimento. In particolare, in modo del tutto analogo ai fondi di investimento e diversamente dagli strumenti finanziari passivi, i certificati a gestione attiva sono strumenti che beneficiano della possibilità di diversificare il portafoglio e di adattarlo alle varie condizioni di mercato.
Tale similitudine potrebbe far sorgere anche sotto il profilo giuridico dubbi circa una riqualificazione di tali strumenti in fondi di investimento. Si tratta di un rischio, come si vedrà di seguito, normativamente escluso in alcune giurisdizioni, come la Svizzera; in altre, tra cui l’Italia, l’argomento non è mai stato oggetto di un intervento diretto da parte del legislatore.
1. Inquadramento giuridico: titoli di debito verso fondi comuni di investimento
Svizzera
Il mercato svizzero rappresenta oggi il principale polo di diffusione degli actively managed certificate. In Svizzera, tali strumenti sono definiti a livello legislativo come «derivati il cui sottostante è gestito in modo discrezionale per la durata di tali derivati» e destinatari di un corpus normativo dedicato.
Una delle priorità del legislatore elvetico è stata escludere alla radice il rischio di riqualificazione dei certificati a gestione attiva in investimenti collettivi di capitale. L’allegato 3 dell’Ordinanza sui servizi finanziari (OSerFi) chiarisce che «in un punto ben visibile della prima pagina del prospetto occorre segnalare, evidenziando il testo in grassetto, che il derivato: non è un investimento collettivo di capitale e non soggiace all’obbligo di autorizzazione dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) […]».
Le caratteristiche degli investimenti collettivi di capitale sono oggetto di una puntuale definizione legislativa (Legge sugli investimenti collettivi, LICol) che lascia agli emittenti il compito di stabilire la qualificazione giuridica del prodotto, riservando alle autorità il potere di intervenire nel caso di applicazione distorta della stessa o di violazione delle regole sulla trasparenza dei mercati.
Quadro normativo europeo e nazionale
Diversamente dalla Svizzera, in Italia manca una chiara presa di posizione legislativa. Potrebbe pertanto emergere, in linea di principio, un rischio di riqualificazione dell’emissione di certificati a gestione attiva in attività di gestione collettiva del risparmio. Tale rischio, come anticipato, risulterebbe connesso all’elemento caratterizzante gli actively managed certificate, vale a dire la gestione discrezionale del sottostante ad opera del gestore del certificato.
Nel diritto europeo, le fonti normative che disciplinano la gestione collettiva del risparmio sono rappresentate da: (i) la direttiva 85/611/Cee (direttiva Ucits) – che ha subìto, nel tempo, quattro aggiornamenti successivi, l’ultimo dei quali rappresentato dalla direttiva 2014/91/Ue del 23 luglio 2014 (Ucits V) – e (ii) la direttiva 2011/61/Ue (la direttiva Aifm).
Per quanto riguarda le fonti normative nazionali, la definizione di Oicr contenuta nel Tuf riprende quanto previsto dalla direttiva Aifm. In primo luogo, l’Oicr costituisce un patrimonio raccolto mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni; in secondo luogo, si conferma, quale elemento qualificante, la sussistenza di una pluralità di investitori; in terzo luogo, si ribadisce che l’investimento del patrimonio ha luogo in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica predeterminata e vincolante. Nel Tuf sono inclusi, inoltre, due requisiti aggiuntivi rispetto alla definizione contenuta nella direttiva Aifm: (a) la gestione del patrimonio «in monte nell’interesse degli investitori» e (b) la gestione «in autonomia dai medesimi».
È importante specificare che i fondi comuni di investimento godono di un’altra caratteristica che li differenzia dai prodotti di debito: sono assoggettati a un regime di separazione patrimoniale tale da renderli immuni dalle obbligazioni proprie della società di gestione e/o dei contitolari. Sottoscrivendo un prodotto di debito, l’investitore si espone, invece, al rischio di credito dell’emittente, non sussistendo alcuna segregazione patrimoniale tra gli asset del certificato e quelli propri dell’emittente
In Italia, la gestione collettiva del risparmio costituisce una cosiddetta “attività riservata”, ossia un’attività che può essere svolta solo da alcuni intermediari e, in particolare, da Sgr, Sicav, Sicaf, società di gestione Ue che gestiscono organismi di investimento collettivo di valori mobiliari italiani, gestori di Fia Ue e gestori di Fia non Ue che gestiscono un Fia italiano. Chiunque svolga servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del senza esservi abilitato, incorre nel reato di abusivismo finanziario, ai sensi dell’art. 166 del Tuf.
Inquadrata dal punto di vista giuridico la fattispecie della gestione collettiva del risparmio e degli Oicr nel panorama europeo e nazionale, resta da verificare se possa sussistere un rischio di riqualificazione degli actively managed certificate in Oicr.
Le prese di posizione delle autorità:
– Banca d’Italia
Come anticipato, in Italia, diversamente dalla Svizzera, il tema non è stato mai affrontato a livello legislativo. Si segnala, tuttavia, che Banca d’Italia è intervenuta con una presa di posizione di particolare interesse, in sede di consultazione per l’adozione del regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, emanato con provvedimento del 19 gennaio 2015 (il regolamento Oicr).
L’Autorità ha in tale sede chiarito che gli Special purpose vehicles (Spv) che emettono Exchange traded notes (Etn) ed Exchange traded commodity (Etc) rientrano nell’ambito della riserva di attività in materia di gestione collettiva del risparmio, trattandosi di titoli il cui valore – a prescindere dalla loro qualificazione come titoli di debito – dipende dal valore dei beni rientranti nel patrimonio del veicolo.
Gli Etn, similarmente ai certificati a gestione attiva, sono strumenti finanziari emessi da Special purpose vehicle (Spv) o da istituti di credito, che replicano la performance di un indice o di un paniere di strumenti finanziari. Tali strumenti, prevalentemente emessi da soggetti esteri, sono negoziati sul mercato Etfplus di Borsa Italiana.
– Borsa Italiana
Borsa Italiana, in veste di partecipante alla consultazione, ha rappresentato alla Banca d’Italia e alla Consob la necessità di un chiarimento da parte delle due Autorità circa il corretto inquadramento degli Etn nell’ordinamento italiano. Borsa Italiana sottolinea che tali prodotti sono stati fino a tale momento ricondotti nella categoria degli strumenti di debito e come tali sono stati qualificati nell’ambito della documentazione di offerta e/o nei relativi prospetti. Anche a seguito dell’emanazione della direttiva Aifm, alcune Autorità di vigilanza dei Paesi di principale provenienza di tali veicoli di emissione (tra cui la Financial conduct authority nel Regno Unito e la Central bank of Ireland) hanno espressamente escluso tali strumenti finanziari dall’applicazione della normativa in tema di fondi comuni di investimento. Essi, pertanto, non dovrebbero rientrare nell’ambito della riserva di attività prevista dalla disciplina sui fondi alternativi.
È, infatti, priorità di Borsa Italiana che tutte le Autorità competenti, comprese quelle nazionali, non abbiano «interpretazioni divergenti, che oltre a contraddire lo spirito della direttiva [direttiva Aifm], potrebbero determinare effetti perversi e difficilmente contrastabili, aumentando il profilo di rischio nella gestione del mercato e nel suo accesso».
– I chiarimenti dell’Esma
Gli orientamenti delle Autorità estere sono stati confermati ufficialmente dall’ Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) nel 2012: gli Etn, a parere dell’Autorità, diversamente da quanto concluso da Banca d’Italia, sono strumenti di debito (che incorporano, pertanto, il rischio di credito dell’emittente) ed in quanto tali, non soggiacciono alle regole applicabili agli Oicr.
Tale differenza, a parere dell’Autorità, sarebbe più marcata nel caso in cui il soggetto emittente sia una Spv in quanto entità non soggetta a supervisione o a obblighi informativi con riguardo ai prodotti emessi ma non si giungerebbe ad una conclusione diversa, considerata la natura e le caratteristiche del prodotto, qualora gli ETN venissero emessi da un istituto di credito.
Rischio di credito
Gli strumenti di debito, tra cui gli Etn e gli actively managed certificate, espongono gli investitori al rischio di credito del soggetto emittente.
Si segnala, tuttavia, che negli ultimi anni si sono si sono sviluppate diverse prassi di mercato finalizzate a limitare il più possibile l’esposizione al rischio di credito. Come anticipato nel paragrafo precedente, numerosi prodotti di debito sono oggi emessi tramite Special purpose vehicle (Spv). Le Spv (prevalentemente localizzate in Guernsey per il mercato svizzero e in Lussemburgo per il mercato europeo) e i singoli comparti sottostanti, possono essere costituite per ogni investitore e, trattandosi di entità “fuori bilancio”, consentono di strutturare investimenti segregati e non esposti al rischio di credito dell’emittente.
Conclusioni
In conclusione, sembrerebbe plausibile affermare che l’unico effettivo elemento di congiunzione tra i certificati a gestione attiva e i fondi comuni di investimento sia il profilo di rischio, rappresentato dalla gestione discrezionale delle attività sottostanti.
In alcuni ordinamenti, tra i quali la Svizzera, come anticipato, il legislatore ha individuato puntualmente le caratteristiche dei fondi di investimento, ritenendo tale approccio sufficiente al fine di scongiurare potenziali rischi di riqualificazione in altri strumenti finanziari, tra i quali gli actively managed certificate.
Nella normativa europea e nazionale, in modo ancora più dettagliato e stringente rispetto alla Svizzera, gli Oicr sono organismi dotati di una propria ben precisa tassonomia. Sembrerebbe, pertanto, plausibile estendere anche all’ordinamento nazionale le considerazioni svolte in precedenza per la Svizzera e condivise anche dall’Esma e, ai fini della verifica della sussistenza di eventuali rischi di riqualificazione, optare per un approccio che non sia basato solo sulla comunanza di un profilo di rischio ma che tenga conto delle peculiarità specifiche e normate delle due fattispecie.
2. Trasparenza e regolamento benchmark
Il tema della gestione discrezionale è strettamente connesso a quello della trasparenza dei mercati finanziari. A seguito di alcuni recenti casi di manipolazione degli indici finanziari usati negli strumenti e nei contratti finanziari (benchmark), tra cui Euribor Libor, il legislatore europeo ha emanato il regolamento (Ue) 2016/1011 del Parlamento europeo e del Consiglio (Regolamento benchmark).
L’obiettivo del Regolamento benchmark è garantire un quadro normativo uniforme che disciplini i soggetti coinvolti nel calcolo degli indici, la fornitura dei dati da inserire nel relativo calcolo e il successivo utilizzo degli indici di riferimento, al fine di assicurare l’accuratezza e l’integrità di tali indici. L’elemento chiave, ai fini del Regolamento benchmark, è il rischio di manipolazione, che si concretizza ogniqualvolta vengano adottate scelte discrezionali nel metodo di calcolo o nell’individuazione dei dati da inserire all’interno dell’indice.
Si dirige nella stessa direzione, ad esempio, il Regolamento del mercato SeDeX di Borsa Italiana, ai sensi del quale uno strumento finanziario derivato cartolarizzato può avere come sottostante di riferimento un indice o paniere, nonché panieri di indici, a condizione che «tali panieri o indici siano caratterizzati da trasparenza nei metodi di calcolo e diffusione».
Il Regolamento benchmark esclude espressamente dal suo ambito di applicazione i «prezzi di riferimento unici di uno strumento finanziario» in quanto, nel determinare il loro valore, non vi è alcuna discrezionalità o attività di calcolo (si pensi, ad esempio, a un’opzione o a un future che abbiano come sottostante una azione).
L’Esma, condividendo la stessa logica, ha chiarito che rientrano in tale eccezione anche i panieri di indici, poiché in tal caso il gestore si limita a modificare i pesi degli indici sottostanti non agendo discrezionalmente sulla politica di investimento. Al contrario, i panieri di titoli o gli indici calcolati sulla base del prezzo di più di uno strumento finanziario ricadono, invece, nella portata applicativa del regolamento benchmark.
A livello europeo e nazionale, sembrerebbe chiara l’intenzione di guardare alla trasparenza come condizione necessaria ai fini della stabilità dei mercati finanziari e della protezione degli investitori.
Indipendentemente, pertanto, dal problema della categorizzazione giuridica dei certificati a gestione attiva, sussiste una tematica più generale di trasparenza connessa ai sottostanti di tutti gli strumenti finanziari e che, nel caso degli actively managed certificate, potrebbe di fatto attirarli nella portata applicativa del Regolamento benchmark.
Anna Chiara Chisari, teaching assistant in Diritto ed economia dei mercati finanziari, Università Bocconi