Il gas naturale è la commodity che sconta il rincaro maggiore: si parla di un balzo del +423% nel corso del 2021, con picchi del +723% rispetto ai livelli pre-covid in Europa e del +66% negli Stati Uniti
L’impennata della quotazione del gas si è trasferita sul prezzo dell’energia elettrica in Italia, spingendo i costi energetici delle imprese industriali dagli 8 miliardi del 2019 ai 37 miliardi attesi nel 2022
Il caro-energia, tra i principali paesi europei, sta penalizzando soprattutto l’Italia. Specie se si guarda all’impennata dei prezzi del gas naturale. Uno shock che, per l’industria tricolore, si traduce in una forte erosione dei margini operativi. E che, se non adeguatamente gestito, rischia di determinare per molti settori la perdita di quote di mercato “in modo irreversibile”. Almeno nelle stime di Confindustria.
Secondo una recente analisi di Massimo Beccarello e Ciro Rapacciuolo (rispettivamente dell’Area politiche industriali Confindustria e del Centro studi Confindustria), infatti, il gas naturale è la commodity che mostra il rincaro maggiore: si parla di un balzo del +423% nel corso del 2021, con picchi del +723% rispetto ai livelli pre-covid in Europa e del +66% negli Stati Uniti. L’Italia in particolare, come anticipato in apertura, risulta maggiormente esposta a tali rialzi rispetto ai “cugini” europei. Questo perché, spiegano i due autori, il mix energetico del nostro paese privilegia questa fonte (42% del consumo totale di energia nel 2020, contro il 38% del Regno Unito, il 26% della Germania, il 23% della Spagna e il 17% della Francia). Senza dimenticare la consistente dipendenza dall’estero della Penisola rispetto alle fonti fossili. “Pur essendo l’Italia un produttore non trascurabile di petrolio e gas, risulta importato l’89% del petrolio, il 94% del gas e il 100% del carbone”, si legge nel rapporto. Il che, osservano gli esperti, determina “un’enorme fattura energetica pagata ogni anno”.
Tutto questo finisce per scaricarsi soprattutto sulle imprese industriali, oltre che sulle famiglie. In particolare sulla lavorazione di minerali non metalliferi (con un costo energetico pari all’8% dei costi totali di produzione), la metallurgia (11%), la chimica (14%), la lavorazione della carta e del legno (5%) e la gomma-plastica (5%). Dati che, tra l’altro, non includono i rincari del 2021. I costi per la fornitura di energia per la manifattura italiana sono infatti balzati dagli
8 miliardi circa nel 2019 a 21 nel 2021 e a 37 nel 2022. Aumenti “insostenibili in termini di competitività per le imprese italiane”, avvertono Beccarello e Rapacciuolo, ricordando come esista “per molti settori il rischio concreto di perdere quote di mercato in modo irreversibile”.
Sulla stessa linea d’onda anche Conflavoro pmi che, nel ricordare come i costi dell’energia per le imprese cresceranno di circa il 375% tra il 2019 e il 2022, ha ribadito che i 9,5 miliardi già stanziati dal governo per arginare lo shock in corso non bastano. “Nel 2021, con una spesa complessiva di 21 miliardi, le criticità delle imprese sono venute prepotentemente a galla”, spiega Roberto Capobianco, presidente della confederazione. “È sotto attacco la sopravvivenza di decine di migliaia di pmi, molte delle quali già costrette al blocco delle produzioni o alla delocalizzazione. Senza un nuovo scostamento di bilancio sarà praticamente impossibile intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali delle bollette per il settore industriale e produttivo, come già avvenuto per le utenze domestiche e le microimprese”.
Il gas naturale è la commodity che sconta il rincaro maggiore: si parla di un balzo del +423% nel corso del 2021, con picchi del +723% rispetto ai livelli pre-covid in Europa e del +66% negli Stati UnitiL’impennata della quotazione del gas si è trasferita sul prezzo dell’energia elettrica in Italia,…