Dal punto di vista fiscale, l’imposta sulle successioni e donazioni si applica in termini generali alle “liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione” nonché alle altre “liberalità tra vivi” che si caratterizzano per l’assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione).
L’articolo 56 bis, comma 1, del d.lgs. 346/1990 prevede che le liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti sono accertate e sottoposte a imposta se ricorrono entrambe le condizioni seguenti:
- in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi e dunque durante attività di controllo sui redditi da parte dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di finanza, e
- se siano di valore superiore alle franchigie oggi esistenti. Trattasi, come noto, di 1 milione di euro per coniuge e parenti in linea retta, 1,5 milioni per minori e portatori di handicap, 100mila euro per fratelli e sorelle (articolo 2, comma 49, del dl n. 262 del 2006). Per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi dal coniuge e dai parenti in linea retta), l’imposta trova comunque applicazione a prescindere dall’importo della donazione.
Ricorrendo dunque le due condizioni di cui sopra la liberalità è assoggettata a imposizione con l’aliquota dell’8% (sempre con la franchigia di 1,5 milioni, 1 milione o 100mila euro a seconda dei casi), che costituisce oggi la percentuale massima prevista dalla legge.
Nel caso oggetto della sentenza in commento la liberalità è appunto emersa nel corso di una verifica fiscale nei confronti del coniuge che, in quella sede, ha reso la dichiarazione circa l’origine dei fondi presenti sul suo conto corrente di gran lunga superiori alla franchigia applicabile di 1 milione.
Nei casi invece di registrazione volontaria delle liberalità indirette l’imposta dovuta è quella prevista per le donazioni e dunque si applicano le aliquote del 4% (coniuge e parenti in linea retta), 6% (fratelli e sorelle e altri parenti) o 8% (altre persone) a seconda dell’esistenza di un rapporto di parentela tra donante e donatario e del suo grado e sempre considerando le relative franchigie.
Alla luce della sentenza in commento la registrazione su base volontaria delle liberalità indirette andrà valutata attentamente, rispetto alla non registrazione, quando la somma donata è superiore alla franchigia applicabile. Nel calcolo della franchigia andranno incluse anche le donazioni e le liberalità precedentemente ricevute. In tal modo l’atto sarà soggetto alle aliquote del 4, 6 o 8% sempre al netto delle franchigie. Diversamente, nel caso in cui la liberalità emergesse nell’ambito di una verifica fiscale, si applicherà l’aliquota massima dell’8% indipendentemente dal grado di parentela.
Nel caso oggetto della sentenza la contribuente, se la liberalità indiretta fosse stata registrata volontariamente, avrebbe risparmiato ben la metà delle imposte poi liquidate dai giudici.
È bene ricordare che ci sono dei casi in cui l’imposta non trova comunque applicazione. Nell’ipotesi di donazioni o altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale o dell’imposta sul valore aggiunto, l’imposta non è dovuta. È questo il caso del padre che paga la casa comprata dal figlio e a questi intestata, in quanto la compravendita immobiliare è, appunto, un atto per il quale si scontano o l’imposta di registro proporzionale o l’Iva. Inoltre, non sono soggette a imposta le liberalità e le donazioni relative a spese non soggette a collazione nonché le donazioni di modico valore, aventi per oggetto beni mobili (ad esempio il denaro).