La stretta sulle condizioni di finanziamento potrebbe mettere sotto pressione soprattutto i Paesi e le aziende indebitati in valuta estera forte. E’ un contesto che continua ad essere sfavorevole ai mercati emergenti
Solo nella settimana conclusa il 25 settembre i deflusi dai fondi emerging markets sono stati pari 4,2 miliardi di dollari, per un totale record di -70 miliardi da inizio anno, secondo i dati Epfr Global
Mentre i rendimenti del mercato obbligazionario, dopo anni di magra, cominciano a ritornare interessanti per gli investitori c’è chi inizia a preoccuparsi del rovescio della medaglia. Dall’altra parte, infatti, rischiano di trovarsi in difficoltà numerosi Paesi e imprese private: rifinanziarsi con le nuove condizioni di mercato sarà sicuramente più oneroso e, per alcune realtà di frontiera, potenzialmente insostenibile.
Rispetto alla media delle cedole attualmente esistenti, i costi di finanziamento obbligazionario a livello globale sono già aumentati a quota 156 punti base. Il differenziale fra il costo del debito esistente e quello di nuova emissione non è mai stato tanto ampio dal 2000 in avanti. Questo spread si tradurrebbe in 1.010 miliardi di dollari di costi aggiuntivi, qualora la totalità dei titoli dovesse essere rifinanziata alle condizioni attuali, ha calcolato Bloomberg sulla base della sua banca dati sul debito governativo e societario.
Come siamo arrivati a questo punto
Il fenomeno è giustificato dall’improvviso abbandono delle politiche monetarie ulta-espansive ritenute necessarie per stimolare la ripresa post-covid: l’aumento dei costi dovuti ai colli di bottiglia sull’offerta e i rincari delle materie prime dovute anche alla fase di tensione geopolitica con la Russia hanno contribuito a riportare l’inflazione su livelli che, in molti Paesi occidentali, non si vedeva da decenni.
I rendimenti sono destinati a salire ulteriormente nel breve termine se la Federal Reserve manterrà le promesse dell’ultima riunione e procederà con ulteriori rialzi dei tassi “finché questi non eserciteranno una significativa pressione al ribasso sull’inflazione”.
Debito più caro: dove pesa di più
La stretta sulle condizioni di finanziamento potrebbe mettere sotto pressione soprattutto i Paesi e le aziende indebitati in valuta estera forte. E’ un contesto che continua ad essere sfavorevole ai mercati emergenti. Solo nella settimana conclusa il 25 settembre i deflusi dai fondi emerging markets sono stati pari 4,2 miliardi di dollari, per un totale record di -70 miliardi da inizio anno, secondo i dati Epfr Global.
“Con i tassi ‘risk-free’ in rapida ascesa, gli investitori riducono il rischio nel mondo del reddito fisso a un ritmo sostenuto… fatichiamo a vedere un’inversione dei flussi verso i fondi high grade e high yield”, hanno dichiarato gli analisti di Bank of America in una nota del 30 settembre, “non solo diventa meno necessario possedere credito high-grade per ottenere rendimento (dato che i tassi ‘privi di rischio’ stanno salendo rapidamente), ma in un contesto macroeconomico difficile (e con tassi di default più elevati), fatichiamo a capire come gli investitori obbligazionari possano aggiungere valore attraverso le obbligazioni high-yield”.
La buona notizia per la stabilità finanziaria degli emittenti è che, nella fase di mercato favorevole, le emissioni erano state abbondanti con una spinta sulle scadenze più lunghe. Questo dovrebbe contenere l’aumento delle insolvenze dal 2,3% attuale al 3,8% entro agosto 2023, ha scritto Moody’s Investor Service in un report di settembre. Un punto su su cui conconcordano anche le analisi di S&P, secondo le quali i tassi di default supereranno il 3% entro metà 2023, mantenendosi al di sotto della media storica.
“Sebbene si preveda un aumento delle tensioni creditizie, ciò avviene dopo un periodo prolungato caratterizzato da un ritmo contenuto di declassamenti, da un’inclinazione negativa storicamente bassa e da inadempienze minime”, hanno scritto gli analisti di S&P Global Ratings nel loro ultimo Credit outlook, “prevediamo i maggiori cali della qualità del credito in Europa, dove circa il 21% degli emittenti di grado speculativo ha un orientamento negativo, rispetto al 16% circa a livello globale (al 20 settembre)”.
Ciononostante, hanno chiosato gli autori di S&P, “le imprese di tutto il mondo saranno alle prese con la triplice minaccia composta di una domanda più bassa, di costi persistentemente più elevati e di una maggiore avversione al rischio nei mercati dei capitali”.