La partita fra Unicredit, Banco Bpm e governo si è spostata rapidamente sulle ricadute occupazionali, in una narrativa che potrebbe celare, dietro ai buoni propositi della tenuta sociale, l’ostilità dell’accoppiata Mef-Castagna alla creazione di una maxi-Unicredit al posto del “Terzo polo”. Un piano che potrebbe prevedere, in ottica futura, anche la cessione dell’11,7% di Mps ancora in mano allo Stato.
A introdurre un oggettivo motivo di allarmismo è lo stesso ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, in una lettera indirizzata ai dipendenti del gruppo che We Wealth ha avuto modo di visionare per intero.
Destano “forte preoccupazione le sinergie di costo stimate dall’offerente, pari a oltre un terzo della base costi di Banco Bpm che, si può stimare, significherebbe tagli al personale di oltre 6.000 colleghe e colleghi”, scrive Castagna riferendosi ai 900 milioni di euro che Unicredit prevede risparmiare, a livello di gruppo, combinando le sue forze con quelle del Banco.
Nella mattinata del 28 novembre, è arrivata la Fabi, il sindacato dei bancari, a dare manforte alle parole di Castagna. “Non è la prima né sarà l’ultima operazione di questo genere, ma ogni fusione o acquisizione che riguarda il settore bancario italiano deve essere attentamente monitorata per il suo impatto sull’occupazione e, più in generale, sull’equilibrio socioeconomico dei territori coinvolti”, ha scritto il segretario nazionale Lando Maria Sileoni. “L’industria bancaria italiana sta affrontando una transizione epocale, tra digitalizzazione accelerata, pressioni regolamentari e un contesto macroeconomico incerto”, ha proseguito la nota. “Esprimo, quindi, forte timore per le ricadute occupazionali che potrebbero derivare dall’operazione. I numeri circolati finora sono preoccupanti e impongono una riflessione profonda”.
Una presa di posizione prevedibile, alla quale per ora non è seguita, come per le stime di Banco Bpm, una replica ufficiale da parte del gruppo guidato da Andrea Orcel che, raggiunto da We Wealth, ha evitato di commentare.
Banco Bpm e Unicredit: con 6.000 esuberi i conti tornano?
Anche in assenza di replica ufficiele, due conti è sempre possibile farli per capire quali assunti giustifichino i calcoli sui 6.000 posti di lavoro a rischio per Banco Bpm – una cifra enorme pari al 30% dell’intera forza lavoro del gruppo.
Sulla base del bilancio chiuso nel 2023, i 900 milioni di sinergie di costo previste da Unicredit corrispondono effettivamente a circa un terzo dei costi operativi del Banco, per la precisione al 35%. Inoltre, la stessa cifra, confrontata con i soli costi del personale del gruppo guidato da Giuseppe Castagna, rappresenta oltre il 50%. Facendo un calcolo di grana grossa, si potrebbe dire che per tagliare un terzo della forza lavoro di Banco Bpm, come prevede l’amministratore delegato, bisognerebbe ridurre di circa 500 milioni le uscite legate al personale.
Questo significherebbe che oltre la metà delle sinergie previste da Unicredit deriverebbero da tagli occupazionali nella banca “acquisita”.
Stima pessimista o realista? In verità, nessuno può saperlo; nemmeno l'ad Castagna che, assieme a tutto il Cda di Banco Bpm, ha dichiarato di aver ricevuto la notizia dell'Ops Unicredit senza essere stato precedentemente consultato. Il punto è che resta poco chiaro come Unicredit intenda effettivamente raggiungere i 900 milioni di sinergie previste. In generale, però, la stima potrebbe essere plausibile: "Ipotizzare savings di 0,9 miliardi senza intervenire sul personale significa ridurre gli altri costi operativi di oltre il 35%, nel breve periodo sembra davvero poco sostenibile come ipotesi", conferma a We Wealth l'ad di Excellence Consulting, Maurizio Primanni, "dire che l'operazione sia basata su almeno 6.000 esuberi significa asserire che circa il 50% dei risparmi ipotizzati arrivi anche da interventi sul personale, stima che mi sembra in linea con altre operazioni di fusione realizzate nel passato in Italia e in Europa".
In un’operazione di fusione così complessa, le sinergie potrebbero derivare da varie fonti, tra cui l'integrazione dei sistemi IT, l'ottimizzazione delle filiali, la razionalizzazione delle risorse centrali, oltre alla riduzione dei costi del personale. Senza una chiara spiegazione da parte di Unicredit su come queste sinergie verranno concretamente realizzate, non è possibile sapere con certezza se i 6.000 posti di lavoro a rischio siano davvero la cifra corretta, o se siano un’ipotesi volta, piuttosto, a stimolare preoccupazione e a mettere facilmente l'opinione pubblica dalla parte di chi rischia di perdere il lavoro.
Qualche interrogativo sul fatto che Castagna abbia un po' calcato la mano appare legittimo, se si uniscono le posizioni del Cda di Banco Bpm a quelle espresse dal governo, che per bocca del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ha evocato l'utilizzo del Golden Power per bloccare l'eventuale adesione volontaria degli azionisti di Banco Bpm – anche contro la volontà del “loro” management – con lo scopo manifesto di tutelare la nascita del Terzo Polo bancario, dentro al quale rientrerebbe Mps.
Lo stesso Castagna, nel rivolgersi ai suoi dipendenti, evoca l'italianità del suo gruppo, flirtando più con la visione patriottica del governo, che non con l'auspicio comunitario verso gruppi bancari europei sempre più solidi e in grado di competere a livello internazionale: “Siamo una grande Banca autonoma, italiana con una forte vocazione di vicinanza ai territori e alle Pmi, spina dorsale del nostro Paese”, scrive Castagna, “dobbiamo continuare in questa direzione”.