Fra le maggiori banche e reti quotate a Milano le azioni migliori da inizio anno al 2 febbraio sono tutte focalizzate sui servizi di consulenza
Il parere sul settore Alessandro Vitaloni, Senior Fixed income portfolio manager di Banca Investis e Francesco Castelli, responsabile obbligazionario di Banor
Mentre la stagione delle trimestrali bancarie è ai nastri di partenza qualcosa si è già mosso nelle scommesse degli investitori. Le banche commerciali tradizionali, che nel 2023 sono state protagoniste di una larga sovraperformance in Borsa grazie ai profitti record collegati all’aumento dei tassi hanno iniziato a rallentare il passo a Piazza Affari. Sul versante opposto, le banche reti focalizzate nella vendita di prodotti di investimento e consulenza finanziaria, hanno avviato un recupero negli ultimi mesi. La prospettiva di un calo dei tassi nel corso del 2024 e un possibile rallentamento economico e un aumento dei crediti deteriorati potrebbero diventare temi rilevanti per la redditività delle banche tradizionali, in senso negativo.
Il calo dei tassi di riferimento dovrebbero accompagnarsi, nelle attese degli operatori, anche un raffreddamento della domanda per i Btp: quest’ultima, nel 2023, ha ridotto i flussi di denaro verso i prodotti di risparmio gestito che offrono alle reti margini di profitto nettamente superiori. Ci sono dunque le premesse per un recupero della redditività delle reti, se la tendenza si invertirà come previsto.
Fra le maggiori banche e reti quotate a Milano le azioni migliori da inizio anno al 2 febbraio sono tutte focalizzate sui servizi di consulenza: svettano Mediolanum e Azimut, con un rialzo del 10,3 e 9,8% rispettivamente. Seguono Mediobanca (+9%), Banca Generali (5,7%) e solo al quinto e sesto posto troviamo Bper (+7%) e Unicredit (6,2%), reduce da un 2023 in maglia rosa a Piazza Affari. Fra le reti l’unica ancora in negativo, e in continuità con il calo del 2023, è Fineco (-4,6%). Se si allarga lo sguardo agli ultimi tre mesi è stato il titolo Azimut a prevalere, con un rialzo del 30%, seguito dal duo Mps – Mediolanum (+22,5 e +21%).
I crediti deteriorati: saranno un tema nel 2024?
Nel corso del 2023 le banche italiane, come buona parte delle controparti europee, hanno ridotto l’incidenza dei crediti deteriorati sul portafoglio complessivo dei prestiti. Secondo i dati pubblicati da Dbrs, l’incidenza delle sofferenze è scesa dal 3 al 2,7% nel confronto annuo alla fine del terzo trimestre. Sotto questa misurazione le banche italiane risultano le quarte più esposte a questi crediti inesigibili. Anche i crediti problematici (stage 2) sono passati dal 13,1 all’11,3% del totale (terzo posto). Complessivamente, i crediti deteriorati lordi in Italia sono scesi del 16,7% annuo alla fine di settembre. Secondo quanto affermato da Dbrs in un rapporto del 22 gennaio, con il rallentamento economico in arrivo si può prevedere che i crediti deteriorati nei bilanci delle banche europee aumenteranno (in Germania e Francia l’aumento c’è già stato nel 2023).
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Banche italiane: il nodo non è la solidità, ma i profitti
Nel 2024 quanto potrà pesare sulle banche tradizionali la perdita di qualità del credito, una perifrasi elegante per indicare che più debitori in difficoltà a restituire i prestiti?
“Con la crescita economica modesta e l’innalzamento strutturale dei tassi d’interesse, un ulteriore peggioramento della qualità dell’attivo è possibile, soprattutto per le piccole e medie imprese più dipendenti dai canali di finanziamento bancari e nel settore edilizio”, dichiara a We Wealth, Alessandro Vitaloni, Senior Fixed Income Portfolio Manager di Banca Investis.
Tuttavia, “la qualità degli attivi delle banche italiane è notevolmente migliorata negli ultimi anni e l’esposizione agli Npl è ai livelli più bassi degli ultimi 15 anni”, pertanto, “il deterioramento dovrebbe essere contenuto e le banche italiane sembrano ben preparate a fronteggiare questo scenario”.
“La bassa crescita sicuramente inciderà sul livello di crediti deteriorati, ma crediamo che il dibattito sarà diverso: discuteremo di chi è più o meno efficiente, di chi è più o meno redditizio. Tuttavia, non vediamo rischi di fallimento per alcune banche sistemiche”, afferma a questo giornale Francesco Castelli, responsabile obbligazionario di Banor, “certamente, la valutazione di borsa risentirà di un margine di interesse che verosimilmente è ormai al picco” di conseguenza “il periodo di sovraperformance dei bancari è probabilmente alle nostre spalle”.
Anche per Vitaloni “le performance di Borsa potrebbero essere più sensibili all’andamento della redditività, poiché il margine può risentire dell’aumento del costo di finanziamento; per questo, nel settore finanziario, preferiamo i titoli più esposti al wealth management e ai ricavi da commissioni”.
“Crediamo torneranno in voga le banche che fanno soldi prevalentemente con la consulenza e le commissioni e non con il margine di interesse”, sottolinea Castelli, aggiungendo che nelle asset allocation di Banor “tendiamo a prendere profitto sull’azionario bancario per riposizionarci sulle obbligazioni bancarie subordinate, un tema su cui si possono ottenere cedole molto elevate, ma con una stabilità dei corsi molto superiore… Le banche di oggi torneranno al ruolo che ebbero nel 2001-2003: un settore difensivo che proteggerà dal rallentamento del ciclo industriale”.