Opportunismo o sintomo di una svolta geopolitica. Forse, una somma di entrambe le cose. Nei primi nove mesi del 2022, le banche centrali hanno acquistato oro in una misura che non si era mai vista dopo il 1967. Secondo i dati del World Gold Council il volume di acquisto di metallo giallo è stato di 673 tonnellate, con 400 tonnellate solo nel terzo trimestre – il picco massimo da quando il Wgc compila i dati trimestrali, ossia dal 2000.
L’ultima volta che le banche centrali avevano comprato oro in quantità paragonabili, nel 1967, erano state poste le basi per l’abbandono del London gold pool, che a sua volta aveva anticipato l’abbandono del sistema di Bretton Woods e la convertibilità del dollaro in oro. Anche se non risulta dai rispettivi dati ufficiali, il grosso degli acquisti di lingotti proverrebbe da Russia e Cina, due Paesi che, in seguito al deterioramento delle relazioni politiche con gli Stati Uniti, in seguito alla guerra in Ucraina, hanno avuto un motivo in più per accelerare il proprio affrancamento dal dollaro come valuta riserva. In questo processo l’oro è la prima alternativa della lista. Quello della de-dollarizzazione delle riserve cinesi e russe è un processo che, però, avviene al di fuori delle comunicazioni ufficiali. Nel caso della Russia le ultime informazioni sulla composizione delle riserve risalgono al febbraio 2022 (lo stesso mese dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina); dopo di allora la governatrice Elvira Nabiullina ha ufficialmente smentito il tentativo di irrobustire le riserve auree dell’istituto.
Quanto alla Banca del popolo della Cina l’indicazione di 32 tonnellate di acquisti diffusa lo scorso novembre sarebbe, secondo diversi esperti raggiunti dal Financial Times, un incremento largamente sottostimato rispetto ai numeri reali. Il ceo di Barrick Gold, Mark Bristow, ritiene che la banca centrale cinese non abbia comprato meno di 250 tonnellate d’oro.
Oltre la geopolitica, anche un’opportunità di mercato
Anche le motivazioni opportunistiche potrebbero aver giocato un ruolo nel forte incremento degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, in particolare nel terzo trimestre. Anche se l’oro si avvia a chiudere l’anno con una minima variazione rispetto allo scorso gennaio, le fasi attraversate dal bene rifugio per eccellenza sono state molteplici. “Appena un paio di mesi fa l’oro perdeva il 10% e negli ultimi mesi ha compiuto un grande sprint. E’ stato un anno a tre facce, la prima durante l’incertezza inaugurata dall’invasione russa, poi una discesa da quota 2.000 dollari l’oncia a 1.600, infine il ritorno in area 1.800”, ha affermato a We Wealth Carlo Alberto de Casa, analista ed autore per Hoepli de ‘I segreti per investire sull’oro‘. Considerando il massiccio aumento dei tassi operato quest’anno dalle banche centrali, in risposta alla fiammata dell’inflazione, l’oro è riuscito a contenere le perdite che, in un contesto del genere, sarebbe stato lecito attendersi. Dal momento che lingotti e monete non offrono rendimenti periodici come cedole o dividendi, l’aumento dei rendimenti obbligazionari dei titoli governativi ‘sicuri’ riduce l’attrattiva del bene rifugio più classico.
“L’ultima volta che aumenti dei tassi importanti si erano verificati, nel 2013, l’oro aveva perso il 29%, con una grande fuoriuscita dell’oro dai portafogli di Etf e questa volta non si è verificato”, ha affermato de Casa, mettendo in luce come l’oro abbia mantenuto, per una serie di altre ragioni, più attrattiva del previsto. Oltre al possibile impatto in termini di sicurezza del conflitto russo-ucraino, potrebbero aver giocato un ruolo proprio le mosse delle banche centrali degli stati avversari del blocco occidentale.A comprare oro, però, sono state anche diverse altre banche centrali. Secondo i dati ufficiali riportati dal Fondo monetario internazionale, che complessivamente indicano un più modesto volume d’acquisto (per le riserve) pari a 333 tonnellate in testa ci sarebbero gli istituti di Turchia, Uzbekistan e Qatar.
Dietro a questa mossa c’è forse un outlook pessimista da parte delle banche centrali sul contesto di mercato del prossimo anno (chi compra oro, spesso lo fa perché ha una visione ribassista sull’azionario)? “Non necessariamente”, ha affermato de Casa, “si tratta soprattutto di un processo di de-dollarizzazione delle riserve, in particolare da parte delle banche centrali russa e cinese”. In una nuova fase geopolitica nella quale importanti attori politici cercano di superare la centralità del dollaro negli scambi internazionali, si può immaginare che la domanda di oro, da parte delle banche centrali, sarà una tendenza destinata a consolidarsi.
Considerando il rafforzamento del dollaro sull’euro, l’investitore italiano che avesse puntato sull’oro a inizio 2022 avrebbe comunque portato a casa un risultato positivo – a fronte di un contesto di mercato largamente ribassista, ha ricordato de Casa. Anche se la fine del ciclo di inasprimenti dei tassi sarebbe già incorporato nei prezzi attuali dell’oro, gli investitori esposti al metallo giallo dovrebbero augurarsi una più rapida normalizzazione dell’inflazione e dei tassi rispetto a quanto non abbiano lasciato presagire le dichiarazioni “da falchi” rese dalla Federal Reserve e dalla Banca centrale europea nella loro ultima riunione del 2022.