Né aderire né sabotare: di fronte alla prospettiva di doversi schierare sull’operazione di Mps su Mediobanca, l’istituto guidato da Massimo Doris ha preferito ritirarsi dal capitale di Piazzetta Cuccia – monetizzando un investimento avviato nel 1998 con una plusvalenza superiore al 100%. In questo modo, Banca Mediolanum – che pure lo scorso 11 giugno aveva manifestato il proprio supporto alla manovra difensiva di Mediobanca su Banca Generali – evita di mettersi di traverso all’acquisizione gradita da Palazzo Chigi. Per il governo, infatti, la priorità è trasformare Mps da banca commerciale molto esposta ai margini sui tassi in un soggetto più orientato ai servizi alla clientela aziendale e private.
Come anticipato da alcuni giorni di indiscrezioni, l’istituto ha ceduto l’intera partecipazione – pari al 3,5% del capitale di Mediobanca – attraverso un collocamento lampo sul mercato, a 18,85 euro per azione, tramite un accelerated bookbuilding curato da Morgan Stanley. Un’operazione da 548 milioni di euro che ha immediatamente zavorrato il titolo Mediobanca a Piazza Affari: nella seduta successiva ha lasciato sul terreno il 3,75%, registrando la peggiore performance del Ftse Mib. Ma il dato economico è solo la superficie di una partita più ampia, che tocca il cuore del risiko bancario italiano.
Il doppio fronte di Mediobanca
Solo tre settimane prima, l’11 giugno, i consigli di amministrazione di Mediolanum e Mediolanum Vita avevano deliberato il voto favorevole all’Ops di Mediobanca su Banca Generali, in vista dell’assemblea inizialmente fissata per il 16 giugno. L’operazione, considerata dagli analisti altamente strategica per creare un campione nazionale nel wealth management, è stata confermata anche di recente da Mediobanca come generatrice di valore per gli azionisti, nel contesto dell’aggiornamento del piano industriale.
Tuttavia, l’assemblea è stata rinviata al 25 settembre. Ufficialmente, per permettere agli azionisti incrociati tra Mediobanca e Generali di approfondire le implicazioni dell’operazione. In realtà, secondo fonti finanziarie, si temeva un esito incerto: con l’astensione già annunciata di soci rilevanti come Delfin (19,8%), Caltagirone (10%), Edizione-Benetton (2,2%) e le casse previdenziali (5,5%).
Fra gli osservatori silenziosi anche Unicredit, salita recentemente all’1,9% di Mediobanca: per prassi non esercita i diritti di voto sulle quote detenute a fini di trading, ma la sua presenza ha pesato sull’equilibrio.
L’altra assemblea: quella scomoda
Nel frattempo, resta sul tavolo l’Ops lanciata da Mps su Mediobanca. Un’operazione sostenuta apertamente dal governo e autorizzata dal Mef lo scorso aprile, su cui Mediolanum – in qualità di azionista rilevante – si sarebbe dovuta esprimere nelle prossime settimane.
È qui che si innesta la lettura politica. Un eventuale voto contrario all’Ops promossa da Siena avrebbe significato entrare in rotta di collisione con l’esecutivo. Al contrario, uscire dal capitale consente a Mediolanum di evitare un’esposizione scomoda – e incassare.
La cessione al mercato della quota Mediolanum, di per sé, non modifica in modo sostanziale le probabilità di successo dell’operazione su Generali, che agli occhi degli investitori appare ancora più solida sul piano industriale. Al contrario, l’offerta Mps resta penalizzante: il concambio previsto è di 2,3 azioni Mps per ogni azione Mediobanca, ma ai valori attuali – con Mps a 7,06 euro e Mediobanca a 19,08 euro – il valore implicito dello scambio è pari a 16,24 euro, ben al di sotto della quotazione.
D’altronde, l’operazione di Siena si basa su sinergie ipotetiche, non attivabili senza una soglia di adesione superiore al 50%. In assenza di trasparenza da parte di Mps – nessuna indicazione chiara su soglie minime, sinergie garantite o valore reale per gli azionisti in caso di mancato successo – uscire dal campo prima della conta appariva come la soluzione più razionale.
La posizione di Mediolanum: partecipazione non strategiva
Nulla di tutto questo è trapelato ufficialmente da Mediolanum. La comunicazione parla di una partecipazione “non strategica”, coerente con un investimento di natura finanziaria. La decisione di vendere rientrerebbe dunque “nel percorso di crescita organica” del gruppo, orientato a rafforzare solidità patrimoniale ed efficienza.
Resta il fatto che il progetto di Mediobanca oggi appare, se non indebolito, quantomeno non rafforzato. Quel 3,5% fino a ieri era formalmente allineato alla strategia di aggregazione con Banca Generali.
Sul fronte opposto, invece, rimangono le incognite su una vendita che ha assegnato “a premio” una quota rilevante di azioni Mps ad attori potenzialmente favorevoli al piano sostenuto da Palazzo Chigi per costruire un nuovo polo bancario tricolore. Tra questi, figurano gli stessi Delfin e Caltagirone, azionisti di Mediobanca – e ora spettatori influenti del risiko in corso.
Domande frequenti su Mediolanum si sfila dal risiko di Mps su Mediobanca, ecco perché
Banca Mediolanum ha preferito ritirarsi dal capitale di Mediobanca per evitare di doversi schierare sull'operazione di Mps su Mediobanca. L'istituto ha monetizzato un investimento avviato nel 1998, realizzando una plusvalenza superiore al 100%.
L'11 giugno, Banca Mediolanum aveva manifestato il proprio supporto alla manovra difensiva di Mediobanca su Banca Generali. Tuttavia, successivamente ha optato per la cessione della partecipazione in Mediobanca.
La decisione di Mediolanum di ritirarsi dal capitale di Mediobanca è stata presa per evitare di mettersi di traverso all'acquisizione, mantenendo una posizione neutrale rispetto all'operazione.
La partecipazione di Mediolanum in Mediobanca viene definita 'non strategica', suggerendo che non rientrava negli obiettivi a lungo termine dell'istituto.
Banca Mediolanum ha realizzato una plusvalenza superiore al 100% monetizzando l'investimento in Mediobanca, iniziato nel 1998.