Nel contesto delle procedure e degli istituti utilizzabili nella gestione delle imprese in situazioni di crisi o insolvenza (quali, ed esempio, il concordato preventivo e il piano attestato di risanamento) può verificarsi la successione in carica di uno o più amministratori, che talvolta sono nominati per particolari obiettivi di risanamento. Per gli amministratori uscenti assumono rilievo alcune considerazioni di carattere fiscale rispetto a somme e valori ottenuti in occasione della cessazione del rapporto lavorativo.
Le remunerazioni percepite dagli amministratori in occasione della cessazione dalla loro carica all’interno di una società in stato di crisi o insolvenza vengono tassate, infatti, per regola generale, in base al cosiddetto principio di cassa.
Tali remunerazioni, dunque, in forma monetaria o in altra forma (come, ad esempio, le remunerazioni corrisposte sotto forma di partecipazioni societarie – stock grant –), sono tassate in capo al lavoratore nel momento della loro percezione; momento che generalmente corrisponde, per le remunerazioni in forma monetaria, a quello dell’incasso delle somme da parte del lavoratore.
Questo comporta che, ai fini fiscali, l’amministratore e il rispettivo datore di lavoro possono “ri-modulare” le modalità remunerative fin anche successivamente al termine dell’incarico dell’amministratore stesso, in modo tale da approntare, laddove possibile, le condizioni di accesso a specifici vantaggi offerti dal sistema tributario, purché ciò ovviamente avvenga prima dell’incasso della remunerazione.
Tale rimodulazione, tenendo in considerazione la “variabile fiscale”, potrebbe consentire all’amministratore uscente di ottenere una remunerazione “netta” corrispondente o addirittura superiore a quella che sarebbe stata prevista in assenza di rimodulazione, a fronte di un minore costo per il datore di lavoro in stato di crisi.
Pertanto, dal punto di vista delle preminenti finalità di risanamento che sono sottese alla gestione di un’impresa in crisi, si renderebbe pressoché doverosa un’attenta valutazione, caso per caso, delle possibilità di rimodulare le remunerazioni spettanti agli amministratori uscenti al fine di ottenere un legittimo accesso a uno o più dei vantaggi offerti dal sistema tributario.
Tutto ciò posto, è possibile richiamare alcune fra le principali casistiche remunerative generalmente applicabili per gli amministratori che, nel contesto di una situazione di crisi o di insolvenza, si trovino a cessare dal loro incarico, facendo tuttavia attenzione al fatto che vi sono anche vantaggi fiscali che non possono essere perseguiti tramite una rimodulazione della remunerazione successivamente alla cessazione dalla carica.
A riguardo va innanzi tutto richiamata l’indennità o “trattamento” di fine mandato degli amministratori (Tfm) che, come noto, a differenza del trattamento di fine rapporto (Tfr) di cui all’art. 2120 c.c., non costituisce un obbligo di legge, trattandosi invece di un’indennità la cui spettanza o meno dipende da quanto liberamente stabilito dalle rispettive parti in sede negoziale.
In tale frangente, un potenziale vantaggio fiscale per gli amministratori che, come generalmente accade, svolgono le loro mansioni in base ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, consiste nella tassazione separata. Assume infatti rilievo l’art. 17, comma 1, lett. c) del Tuir, ai sensi del quale l’importo del Tfm spettante fino ad un milione di euro è assoggettato – ove ciò sia più vantaggioso della tassazione ordinaria – a tassazione separata, a condizione però che il rispettivo diritto risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, cosicché il relativo vantaggio fiscale viene subordinato a condizioni da pattuirsi necessariamente “ab origine”.
Un’ulteriore fattispecie di remunerazione frequentemente prevista per gli amministratori, oggetto di riconoscimento alla cessazione dalla carica e potenzialmente ammessa al beneficio della tassazione separata ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a) del Tuir per dipendenti e lavoratori assimilati è quella relativa al patto di non concorrenza, il cui ammontare, a differenza del Tfr, può essere liberamente stabilito tra le parti, ferma comunque restando la necessità che la rispettiva remunerazione possa considerarsi congrua rispetto al sacrificio imposto al lavoratore.
Con un impatto, generalmente, ancor più rilevante in termini di vantaggio fiscale, occorre poi effettuare una corretta qualificazione reddituale delle somme percepite a fronte della cessione di partecipazioni nella società gestita in ragione dell’operatività di clausole di “leavership”.
Nel predetto contesto, nei casi in cui non sussistano i presupposti per l’applicazione della presunzione legale prevista per i cossiddetti carried interest ai sensi dell’art. 60 del dl. n. 50 del 2017, per stabilire se quanto percepito dall’amministratore uscente debba essere qualificato come reddito da lavoro piuttosto che come reddito di natura finanziaria (con la conseguente tassazione maggiormente favorevole in precedenza richiamata) occorre ricordare che per le clausole di good o bad leavership l’Agenzia delle entrate ritiene che “in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro)” (così, Agenzia delle entrate, risposta 27 maggio 2022, n. 311), fermo restando che altre coesistenti circostanze potrebbero comunque consentire la qualifica di quanto percepito dall’amministratore uscente alla stregua di reddito di natura finanziaria.
Le casistiche che si possono presentare in sede di cessazione della carica di amministratore di società in stato di crisi sono le più varie e ciascuna va autonomamente analizzata dal punto di vista fiscale. In tale contesto, la fondamentale finalità di risanamento aziendale implica ordinariamente la necessità di una riduzione dei costi e, per quanto possibile, di un incremento delle entrate.
Un aiuto in tal senso, per quanto riguarda i costi della produzione, può derivare anche dalla fiscalità di somme e valori dovute agli amministratori in uscita, laddove, ad esempio a fronte di una remunerazione “netta” prestabilita, sia possibile ridurre il rispettivo costo per il datore di lavoro.
Infatti, come si è osservato, in taluni casi è possibile adottare misure che possono consentire una riduzione dei costi degli amministratori uscenti in virtù dell’accesso a vantaggi offerti dal sistema tributario.
(Articolo scritto in collaborazione con Thomas Yang, di Lca Studio Legale)