La lista è lunga: Fidelity, Vanguard, BlackRock, Morgan Stanley. Ma sarà Charles Schwab a lanciare la prima piattaforma di direct indexing con una soglia d’ingresso più accessibile, all’inizio del 2022
Per direct indexing si intende l’acquisto diretto di tutti i titoli che compongono un determinato indice eliminando la mediazione del fondo – con vantaggi in termini di personalizzazione e riduzione del carico fiscale
Abbiamo parlato di questo approccio d’investimento con Antonio de Negri, ceo di Cirdan Capital, una delle poche società che già offre prodotti di direct indexing per gli operatori qualificati nel Vecchio Continente
Il direct indexing, nella sua forma più semplice, replica un indice attraverso l’acquisto diretto delle azioni che lo compongono. Non è una novità assoluta, ma un tempo questo approccio era riservato solo a una clientela in possesso di ingenti patrimoni, che in qualche modo giustificassero i più elevati costi di transazione legati allo scambio di tanti “pezzi”. Il progresso tecnologico, però, sta rapidamente cambiando questo paradigma, abbattendo le commissioni sul trading e consentendo il frazionamento delle azioni dal prezzo unitario molto ingombrante come quelle di Apple o Amazon. Oggi, replicare gli indici senza dover ricorrere a un fondo, nel contesto attuale, costa sempre meno – e i grandi gestori americani hanno già fiutato l’affare.
Nel corso dell’ultima Schwab Impact 2021 conference, tenutasi il 19 e 20 ottobre, il cio della Schwab Asset Management, Omar Aguilar, ha annunciato che la società metterà a disposizione all’inizio del 2022 una piattaforma di direct indexing con una barriera d’ingresso fissata a 100mila dollari. Il fermento Oltreoceano sta crescendo, ma questo genere di innovazioni sono destinate ad arrivare, con un certo ritardo, anche in Europa e in Italia. Ne abbiamo parlato con Antonio de Negri, ceo di Cirdan Capital, una delle poche società che già offre prodotti di direct indexing per gli operatori qualificati nel Vecchio Continente – con l’obiettivo di arrivare alla clientela al dettaglio già entro il 2022.
Quello che sta succedendo negli Stati Uniti è un fenomeno estremamente interessante. Gli americani erano già stati pionieri degli investimenti a gestione passiva e oggi, negli Usa, gli investimenti in Etf sono ormai diventati la fetta prevalente sul totale. Il direct indexing è l’evoluzione successiva: replicare un indice direttamente, sia in forma fisica sia sintetica. Una volta che l’investitore ha adeguato la sua mentalità a un approccio passivo, il salto da un Etf a un indice diretto non è grande. Anziché investire in un indice come l’S&P 500, attraverso le quote di un Etf che contiene 500 azioni, si va ad acquistare quel paniere direttamente. L’investitore a quel punto si trova in portafoglio 500 titoli, senza dover ricorrere ad alcun veicolo di intermediazione, un fondo.
Perché un investitore dovrebbe preferire un portafoglio direttamente investito sulle componenti dell’indice, all’acquisto di un Etf equivalente?
Tradizionalmente gli investimenti sono sempre stati veicolati in formato top-down, ossia è la banca o l’asset manager a decidere come strutturare un fondo, che in seguito viene proposto al cliente. Il direct indexing invece è esattamente l’opposto. Grazie ad un approccio tecnologico molto forte è il cliente che va a costruire il proprio prodotto, modificando a piacimento le componenti dell’indice. Oggi si sta sviluppando una crescente sensibilità vers certe tematiche d’investimento, in particolare quelle legati ai fattori di sostenibilità economica, sociale e di governance (Esg). Pertanto, all’interno di determinati indici si possono ritrovare determinate società che non rappresentano determinati parametri, ad esempio compagnie petrolifere o società che producono armi.
La possibilità di costruire indici ‘à la carte’ viene a costare di più o di meno rispetto a un Etf?
Paradossalmente, costa di meno. Grazie alle innovazioni tecnologiche che hanno permesso scambi di azioni o frazioni di azioni a zero costi, la possibilità di costruire un indice composto da vari titoli con oneri contenuti è evidente. Era qualcosa di impossibile fino ad alcuni anni fa, quando intermediari come Robinhood non esistevano. Inoltre, il possesso diretto delle azioni permette di intervenire in modo più efficace per ridurre gli oneri fiscali, con un risparmio potenzialmente enorme. Quando acquisto un Etf le perdite o i guadagni si cristallizzano nel momento in cui vado a vendere il prodotto che ho in pancia – nella sua totalità – rispetto al prezzo di acquisto. Nel direct indexing, invece, dal momento che si vanno a comprare tutte le componenti dell’indice, è possibile operare in modo molto efficiente il cosiddetto loss harvesting, la raccolta delle minusvalenze. Potrò vendere i titoli che sono in perdita in maniera assolutamente opportunistica e dinamica (a seconda degli intervalli fiscali, dell’andamento del portafoglio complessivo) in modo da minimizzare il carico fiscale. Questo vantaggio produce impatti tali da controbilanciare il costo di una piattaforma di direct indexing – che è comunque di pochi decimi di punto percentuale. Negli Stati Uniti i costi sono attorno allo 0,2%, in linea con il costo di un Etf americano e circa la metà di uno europeo.
E’ vero che il direct indexing andrà ad insidiare la platea che attualmente si rivolge agli Etf?
La clientela che oggi si rivolge agli Etf è il target iniziale. Magari potrò modificare un po’ gli indici in origine per adeguarli alle mie preferenze, ma poi resterò un investitore passivo. Questo è il primo livello. Il successivo, che stiamo spingendo molto noi, è il direct indexing attivo, nel quale c’è un gestore che attraverso uno strumento, come un certificato, oppure direttamente in portafoglio, compie la classica attività di gestione patrimoniale. Il fondo di per sé non è nient’altro che un contenitore per vari aspetti non efficiente; nel momento in cui ci si svincola dalla necessità di doverlo utilizzare, eliminando uno strato di complessità e di costi, nulla vieta di agire sul sottostante di titoli anche con approccio attivo.
Si scende di parecchio rispetto alle precedenti barriere d’ingresso. La base minima di entrata era stata, negli ultimi cinque anni circa, pari almeno a 500mila dollari. In precedenza, per accedere al direct indexing erano necessari investimenti minimi nell’ordine dei milioni di dollari. Il nostro obiettivo, entro il 2022, è quello di permettere al cliente finale di creare il proprio indice a partire dai 5mila euro.
In Europa e in Italia a che punto siamo con l’offerta di direct indexing?
In Europa, per la verità, siamo ancora molto agli albori. Questo è dovuto al fatto che, rispetto all’America dove gli Etf rappresentano già oltre la metà delle masse, in Europa siamo sotto il 10%. Questo significa che, in Europa, il passaggio all’investimento passivo non è ancora pienamente avvenuto. L’affermazione del direct indexing in Europa dunque è ancora più distante, probabilmente non avverrà prima di 5-10 anni.
Quanti sono gli attori che fanno direct indexing in Europa e a chi si rivolgono?
In alcuni formati, ad esempio se gli indici vengono contenuti all’interno di un certificato c’è un mercato europeo che si sta sviluppando con alcuni attori validi come Vontobel che sono un per noi un valido competitor. A livello di offerta per la clientela al dettaglio come quella che intendiamo lanciare noi l’anno prossimo, che io sappia, al momento ancora nulla si è mosso in Europa.
Voi di Cirdan Capital come vi state muovendo?
Noi abbiamo sempre sviluppato indici, siamo benchmark administrator autorizzati dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma). Con il direct indexing questa nostra vocazione viene direttamente messa a disposizione dell’investitore, che nel dettaglio dell’indice può decidere cosa fare e come eventualmente intervenire. La piattaforma che abbiamo adesso è solo B2B, riservata ad operatori specializzati che hanno i loro indici, a gestione sia passiva sia attiva. Non ci rivolgiamo ancora a una platea di clienti che comprano presso di noi direttamente, ma lo faremo nel 2022. Abbiamo un’offerta di oltre 200 indici e, a partire dall’anno prossimo, il cliente finale potrà acquistarli, personalizzando i titoli che li compongono.