- non saranno aggredibili dai creditori del proprietario, né potranno ricadere nel suo eventuale regime di comunione legale o fare parte del suo asse ereditario,
- potranno essere impiegati esclusivamente per la realizzazione del fine di destinazione,
- potranno costituire oggetto di esecuzione soltanto per debiti contratti per tale scopo.
Stante la sua formulazione (eccessivamente) sintetica e, a tratti, criptica, l’art. 2645 ter c.c. è stato oggetto di molteplici interventi interpretativi, che hanno visto come terreno principale di scontro la natura unilaterale o contrattuale del negozio destinatorio, con inevitabili ripercussioni pratiche. Aderire a quest’ultima tesi, infatti, significherebbe riconoscere al beneficiario dell’atto di destinazione la qualifica di parte e comporterebbe la necessità (oltre che della trascrizione a soli fini di opponibilità ai terzi, anche) dell’accettazione del beneficiario per il perfezionamento della fattispecie. Laddove, viceversa, si propendesse per la struttura unilaterale dell’atto di destinazione, sarebbe sufficiente la manifestazione di volontà del solo destinante e la trascrizione dell’atto destinatorio per renderlo opponibile ai terzi. Optando per una soluzione intermedia, infine, si potrebbe ritenere che l’atto di destinazione, seppur avente carattere unilaterale, possa essere arricchito da una componente contrattuale come p.es. un mandato di gestione e/o un trasferimento del diritto dal destinante all’eventuale attuatore della destinazione.
In ragione del principio d’intangibilità della sfera patrimoniale dei terzi, il beneficiario dell’atto di destinazione può rifiutare il beneficio, con conseguente inefficacia dell’atto stesso (non potendo quindi produrre alcun effetto destinatorio né segregativo) e obbligo per il destinante di procedere all’annotazione di inefficacia a margine della trascrizione già effettuata.
Figure ultronee e del tutto eventuali dell’atto di destinazione (rispetto al destinante e al beneficiario) possono poi essere il gestore dei beni destinati, l’attuatore della destinazione e il garante, che non dovranno porsi in conflitto di interessi con il beneficiario.
L’atto di destinazione, normalmente irrevocabile, può comunque contenere una clausola di revocabilità (purché collegata a fattispecie e criteri ben identificati nell’atto di destinazione, non essendo invece ammissibile una revoca ad nutum).
Sebbene sia fortemente dibattuto il tema delle possibili cause di cessazione anticipata del vincolo destinatorio, è certo che, spirato il termine previsto per il vincolo di destinazione, l’effetto segregativo sui beni viene meno, con conseguente rientro degli stessi nel patrimonio del destinante (ovvero, in caso di premorienza di quest’ultimo, dei suoi eredi).
L’elemento chiave degli atti di destinazione è però costituito dalla “meritevolezza” (aggiuntiva alla liceità) degli interessi che il vincolo da imprimere sui beni deve perseguire al fine di legittimare l’effetto segregativo dell’atto, tenendo comunque conto che ove l’atto destinatorio, per come in concreto implementato, si sovrapponesse a un istituto tipico (comunemente, il fondo patrimoniale, il fedecommesso, la nuda proprietà/usufrutto, i patrimoni destinati nelle società, etc.), correrebbe il rischio di una riqualificazione, con conseguente applicazione delle norme dettate per l’istituto tipico.
Da un punto di vista pratico è dunque ben possibile ritenere conformi al dettato legislativo gli atti di destinazione che perseguono interessi di rilievo costituzionale, quali per esempio quelli riferibili alla tutela dei disabili (come, per esempio, la segregazione di un immobile in favore di un soggetto debole, per la durata dell’intera vita di quest’ultimo, al fine di soddisfarne i bisogni), della convivenza more uxorio (quale la destinazione di un immobile da parte del convivente economicamente più forte a vantaggio dell’altro convivente, per un periodo stabilito, per fronteggiare ogni evenienza della vita), del rapporto genitoriale (apposizione di un vincolo destinatorio da parte dei genitori su propri beni immobili al fine di assicurare al figlio la fruibilità dei redditi da essi derivanti finché quest’ultimo abbia raggiunto l’autonomia economica), delle famiglie allargate (destinazione di un immobile in favore del figlio del coniuge nato da una precedente relazione, per sostenere le sue spese di formazione scolastica) o in crisi (per esempio, all’atto della separazione, segregazione di un immobile da parte di un coniuge al fine del soddisfacimento dei bisogni dell’altro coniuge e dei figli nati dal matrimonio), delle fondazioni (come l’apposizione di un vincolo destinatario su un immobile in favore di un ente fondazionale per sostenerne le attività e il perseguimento dei relativi fini istituzionali) e così via.