I modelli “as a service” vengono adottati dal 75% delle startup e scaleup italiane. Tra questi, spicca il banking as a service
Con questa formula, un istituto finanziario autorizzato (come una banca) offre servizi e licenza a un secondo attore non autorizzato (come una digital company)
In Italia si contano oggi 630 startup e scaleup fintech e insurtech, in grado di raccogliere oltre 900 milioni di euro di risorse solo nel 2022. Si parla di 3,7 miliardi di euro dal 2009, con Milano che si accaparra il 69% degli investimenti complessivi. Un ecosistema, dunque, in continuo fermento a dispetto delle tensioni economiche e geopolitiche. E che ha contribuito nell’ultimo anno a uno sviluppo sempre maggiore della formula “banking as a service”: ecco come funziona e perché potrebbe innescare una riduzione del numero di filiali.
Banking as a service: come funziona
Come analizzato nell’ambito dell’ultima ricerca dell’Osservatorio fintech & insurtech della School of management del Politecnico di Milano, i modelli “as a service” vengono adottati dal 75% delle startup e scaleup italiane. Tra questi, spicca il banking as a service (BaaS), formula attraverso la quale un istituto finanziario autorizzato (come una banca) offre servizi e licenza a un secondo attore non autorizzato (come una digital company) che cura invece l’interazione con il cliente finale e la user experience. In altre parole, spiega la direttrice dell’osservatorio Laura Grassi, grazie al banking as a service “le digital company che non hanno una licenza bancaria possono offrire ai propri clienti servizi finanziari digitali come conti correnti online, soluzioni di pagamento, carte di credito, prestiti, assicurazioni e investimenti”.
Chiude una filiale? Il 21% cambia banca
Un modello che se da un lato apre uno spiraglio di opportunità di mercato per le banche tradizionali dall’altro genera un’aperta competizione dei nuovi attori come le challenger bank, che hanno intanto raggiunto quota 120 in Europa. Di queste 120, infatti, 56 utilizzano una licenza di terzi agendo in partnership con un operatore BaaS mentre 64 posseggono un’autorizzazione propria anche se non bancaria. Tra l’altro, secondo i ricercatori, i modelli business as a service potrebbero innescare un’ulteriore riduzione del numero di filiali bancarie sul territorio. Ma non tutti gli italiani reagirebbero in modo negativo: solo il 21% cambierebbe banca; il 24% resterebbe fedele alla stessa (cambiando filiale o modalità di interazione) e il 35% opterebbe per strumenti digitali come app o pc.
In generale, nell’ultimo anno gli operatori bancari italiani hanno registrato una crescita del 6% di clienti che utilizzano canali digitali come home e mobile banking. Operazioni come bonifici, ricariche telefoniche, pagamento di bollette e compravendita di titoli online sono incrementate invece del 17%. E c’è chi predilige anche un’offerta bancaria interamente digitale, con il 24% dei clienti retail attivi su internet che possiede uno o più conti aperti presso banche online, una quota che raggiunge il 40% per la fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni. “Anche nel corso del 2022 è continuata la crescita dell’educazione digitale degli italiani in ambito finanziario”, interviene al proposito Filippo Renga, a sua volta direttore dell’osservatorio. “In generale, aumenta la predisposizione a usare i canali digitali, soprattutto tra i giovani che, da un lato sono più abituati a fruire di servizi in digitale, dall’altro hanno verosimilmente necessità meno sofisticate e compatibili in pieno con la proposta attuale delle banche digitali”.
Regno Unito culla del fintech in Europa
Guardando infine ai numeri, come anticipato in apertura, in Italia si contano 630 startup e scaleup fintech & insurtech che hanno raccolto più di 900 milioni di euro da gennaio. I ricavi mediani attesi nell’anno sono quasi il doppio rispetto a quanto registrato nel 2021 ma solo il 44% delle aziende guarda ai mercati esteri. Se si considerano le startup che hanno raccolto almeno un milione di dollari di risorse, a livello europeo toccano quota 1.392. Il Regno Unito ospita il 38% di queste realtà, seguito da Francia (11%) e Germania (9%); i tre paesi guadagnano il podio anche per funding raccolto, con Uk al primo posto con 17,4 miliardi di dollari, Francia al secondo con 3,2 miliardi e Germania al terzo con 3 miliardi. Il 29% delle startup europee è attivo nel mondo dei pagamenti, ma c’è anche chi opera nello sviluppo di soluzioni digitali legate agli investimenti (29%), nei cryptoasset (23%), nel lending (17%) e nell’insurtech (13%).