La spinta arriva dalla Mifid 2, che impone agli operatori di asset e wealth management di produrre ricerche oggettive e concludenti, non fornite in forma gratuita da chi fa brokeraggio
Ma l’esigenza nasce ancora dalla domanda, perché gli investitori orfani delle obbligazioni non più redditizie cercano spunti nuovi per aumentare il proprio patrimonio limitando il rischio. E l’industria dall’altro lato ha bisogno di offrire valore aggiunto
Ma le industrie sono in grado di produrre questo genere di ricerca D.O.O.C. – documentata, oggettiva, originale e concludente? Sicuramente non tutte: “per produrre una Unbiased Investment Idea, ovvero un’idea di investimento che non sia viziata da visioni e opinioni, ci vuole un approccio scientifico e basato su algoritmi”, sostiene Ambrosetti. Che rileva come, anche se con un certo ritardo, l’industria si sta accorgendo di questo costo/opportunità e sta cercando di arricchire i processi con questo elemento nuovo.
Di fatto, il legislatore ha risposto a una domanda del mercato “sempre più attento ai contenuti di prodotti e servizi che dovrebbero assicurare equi e opportuni investimenti in ottica, al minimo, di mantenimento del valore reale dei risparmi nel tempo. Ne è testimonianza la grande attenzione globale alla sostenibilità dell’universo investibile, così come la ricerca di investimenti che assicurino Rendimento Accettabile associato a Rischio Sostenibile”. Non ultimo, un fattore che spinge verso il nuovo paradigma decisionale si trova nel lato dell’offerta: “l’industria – continua Ambrosetti – ha basato fino a oggi la proposizione di soluzioni di investimento principalmente su asset class guidate da investimenti obbligazionari. La condizione attuale di sostanziale assenza di ritorni da investimenti obbligazionari provoca una crisi legata al mancato sviluppo di know how adeguato nella gestione di temi al di fuori da questo perimetro”.
Insomma, da un lato i risparmiatori sono orfani dei Btp che da due anni sono a tasso zero o sotto zero – e considerano ancora le azioni alla stregua di una scommessa; dall’altro l’industria ha il problema di non aver allenato i propri asset manager a gestire i patrimoni fuori da quel recinto sicuro (che sicuro non è più). “Dal 2008 le banche si stanno attrezzando per trovare redditività nell’offerta di servizi, perché per fare soldi con mutui e prestiti è richiesta un grande impegno patrimoniale. In un contesto di mercati complesso come quello attuale in cui il rapporto rischio/rendimento tra le diverse asset class si è riqualificato, l’industria è obbligata a investire molto e rapidamente su modalità di investimento più moderne, approcci multiasset, multistrategy e, soprattutto, multidisciplinare: bisogna pescare occasioni in tutto il mondo, cercare rendimento con rischio sostenibile, avere linee flessibili e strategie decorrelate che sono per l’Italia ancora innovazione”.
Nella ricerca di queste soluzioni interviene un produttore di ricerche unbiased come AAM. “Se è necessario analizzare 5mila asset investibili la tecnologia è vitale: noi produciamo 200mila stime al giorno, più di 50 milioni di stime all’anno. Siamo un laboratorio di idee di investimento data driven e siamo gli unici in Italia con un track record di trent’anni. È vero che l’AI al difuori della finanza è in uso da trent’anni, ma il problema è che i mercati finanziari hanno le loro specificità ed è difficile che tecnologie sviluppate per settori diversi possano funzionare tout court sui mercati, dove l’interazione umana è fondamentale”. I bias comportamentali fanno sì che le decisioni di investimento avvengano in condizioni ad elevato impatto emotivo, ma come dimostrano gli studi per esempio del premio Nobel Daniel Kahneman questo non implica che l’andamento delle quotazioni di Borsa siano indipendenti e dunque imprevedibili, al contrario di quanto asserito dalle teorie che l’asset management usa da 40 anni. “Per costruire un modello di un mercato finanziario si deve considerare la distribuzione non gaussiana, ovvero la non casualità tra gli andamenti passati e futuri – conclude Ambrosetti – I nostri modelli isolano dati di Borsa per periodo di interesse andando a misurare l’equilibrio domanda e offerta derivando cluster tipici che incrociano con le performance e stimano i corsi sui listini con un’alta probabilità di successo. Non intervistiamo fisicamente le persone ma facciamo parlare i numeri per prevedere i comportamenti delle masse e quindi i valori futuri”.
(Articolo pubblicato sul Magazine We Wealth, numero di febbraio)