L’erede che abbia accettato puramente e semplicemente l’eredità devolutagli risponde dei debiti del defunto e dei legati illimitatamente e con il proprio patrimonio, anche se – di regola – proporzionalmente alla propria quota.
Una tale responsabilità può essere limitata effettuando invece la cosiddetta “accettazione con beneficio d’inventario”, disciplinata agli artt. 484 ss. c.c. – modalità che è, anzi, imposta dall’ordinamento quando il chiamato sia minore, interdetto o inabilitato – per effetto della quale l’erede mantiene distinto il proprio patrimonio da quello del de cuius ed è tenuto a rispondere di eventuali passività esclusivamente con i beni pervenutigli in successione (sui quali i creditori non possono più iscrivere ipoteca giudiziale) e nei limiti del relativo valore.
L’accettazione beneficiata si effettua con apposita dichiarazione ricevuta da un notaio, ovvero dal cancelliere del tribunale competente in relazione al luogo della successione, che va trascritta nei registri immobiliari e inserita nel registro delle successioni, ed è preceduta o seguita dalla redazione (sempre ad opera del notaio o del cancelliere) di un inventario, finalizzato a determinare la consistenza dell’asse ereditario e funzionale alle successive attività di liquidazione e pagamento delle passività.
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Tuttavia, al fine di evitare pregiudizi ai creditori e legatari, il legislatore ha previsto stringenti obblighi e adempimenti, da porre in essere con rigorose tempistiche, il cui mancato rispetto viene di regola sanzionato con l’assunzione dello status di erede puro e semplice e conseguente responsabilità illimitata per i debiti del de cuius.
Ciò si verifica, in particolare, nei seguenti casi.
A) Compimento di atti di accettazione pura e semplice prima del perfezionamento di quella beneficiata
Nelle more della decisione se accettare o meno l’eredità, è consentito solo il compimento degli atti conservativi previsti dall’art. 460 c.c.; se invece il chiamato all’eredità pone in essere un qualsiasi atto che presupponga implicitamente la volontà di accettare – quali, ad esempio, la compravendita o anche solo la richiesta di voltura catastale di un bene ereditario, ovvero la riscossione dei relativi canoni di locazione, o anche la partecipazione a un giudizio concernente beni o debiti ereditari – per ciò solo effettua una cosiddetta accettazione tacita, divenendo erede puro e semplice (e gli è pertanto preclusa la possibilità di effettuare una successiva accettazione beneficiata); lo stesso si verifica, ovviamente, in caso di eventuale accettazione espressa (ovverosia, effettuata con atto pubblico o scrittura privata) che intervenga prima di quella beneficiata, non essendo ammesso alcun ripensamento.
Al contrario, è invece possibile una rinuncia volontaria dell’erede a un’accettazione con beneficio d’inventario già effettuata, come si desume incidentalmente dall’art. 490 n. 3 c.c.
B) Inosservanza dei termini
Le tempistiche per il compimento della procedura dell’accettazione beneficiata variano a seconda che il chiamato all’eredità si trovi o meno nel possesso di beni ereditari (anche di uno solo: Cass. civ., sez. II, 14/2/2019, n. 4456).
Nel primo caso, ai sensi dell’art. 485 c.c., l’inventario va infatti completato entro il termine di tre mesi dalla data di apertura della successione; tuttavia, se la redazione è stata tempestivamente iniziata, ma non ancora ultimata, il chiamato può ottenere dal Tribunale una proroga di ulteriori tre mesi, salvo che gravi circostanze giustifichino la concessione di un termine maggiore; una volta compiuto l’inventario, entro i successivi quaranta giorni il chiamato all’eredità che non vi abbia già provveduto è quindi tenuto a rendere la dichiarazione di accettazione beneficiata (ovvero a rinunciare all’eredità): in caso di inosservanza di alcuno di tali termini, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.
Se invece non è in possesso di beni ereditari, il chiamato ha dieci anni di tempo (corrispondenti al termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità) per rendere la dichiarazione di accettazione beneficiata; tuttavia, una volta che l’abbia effettuata, è comunque tenuto, a pena di decadenza, a redigere l’inventario entro i successivi tre mesi, prorogabili dal Tribunale con le modalità previste dall’art. 485 c.c.; qualora l’inventario venga invece redatto prima dell’accettazione beneficiata, anche il chiamato non in possesso dei beni deve rendere tale dichiarazione entro quaranta giorni dalla data di compimento dell’inventario stesso (in tal caso, però, la conseguenza dell’eventuale inosservanza è la perdita del diritto di accettare l’eredità).
Per quanto riguarda, infine, i soggetti incapaci, questi ultimi, ai sensi dell’art. 489 c.c., possono decadere dal beneficio d’inventario solo qualora non abbiano posto in essere gli adempimenti indicati nei precedenti paragrafi entro un anno dalla data di compimento della maggiore età, ovvero di cessazione dello stato di incapacità.
C) Omissioni e infedeltà nella redazione dell’inventario
Tale ipotesi, prevista dall’art. 494 c.c., ricorre quando l’erede omette in mala fede di riportare nell’inventario beni appartenenti all’eredità, oppure vi fa figurare passività in realtà insussistenti. Peraltro, poiché la buona fede si presume, l’onere di dimostrare i presupposti di applicazione della norma grava su chi invoca la decadenza (Cass. civ., sez. I, 25/1/2023, n. 2349).
D) Compimento atti dispositivi non autorizzati
L’erede beneficiato non ha la libera disponibilità dei beni facenti parte dell’asse, essendo obbligato ad amministrarli nell’interesse di creditori e legatari: l’art. 493 c.c. prevede che egli decada dal beneficio d’inventario qualora alieni o sottoponga a pegno o ipoteca beni ereditari, transiga relativamente a questi beni (o comunque compia atti di straordinaria amministrazione che possano comportare un pericolo di diminuzione della garanzia patrimoniale) senza averne previamente ottenuto l’autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme a tal fine prescritte dal codice di procedura civile (artt. 747 e ss. c.p.c.).
Con riferimento ai soli beni mobili, la necessità di previa autorizzazione giudiziale viene invece meno decorsi cinque anni dalla dichiarazione di accettazione beneficiata.
E) Inadempimenti nell’ambito della procedura di liquidazione concorsuale
Una volta compiuta l’accettazione beneficiata e redatto l’inventario, la successiva fase di liquidazione dei beni e il pagamento delle passività possono avvenire o man mano che i vari creditori si presentano e salvi i rispettivi diritti di prelazione sino all’esaurimento dell’asse, oppure tramite liquidazione concorsuale (secondo un’articolata procedura disciplinata agli artt. 498 e ss. c.c., la quale richiede l’assistenza di un notaio).
L’erede è obbligato a seguire tale seconda modalità, se alcuno dei creditori o legatari gli notifica un atto di opposizione alla liquidazione individuale entro il termine di un mese dalla data di trascrizione della dichiarazione d’accettazione beneficiata o dall’annotazione nel registro delle successioni della data di compimento dell’inventario, se successivo; altrimenti, può decidere liberamente come procedere.
In caso di opposizione, ai sensi dell’art. 505 c.c. tutti gli adempimenti della procedura di liquidazione concorsuale a carico dell’erede e i relativi termini sono previsti, appunto, a pena di decadenza dal beneficio d’inventario; se invece è stato lo stesso erede a optare per la liquidazione concorsuale, vi è decadenza solo nel caso in cui questi, dopo l’invito ai creditori a rendere le dichiarazioni di credito, esegua pagamenti prima della definizione della procedura di liquidazione, salvo che essi siano a favore di creditori privilegiati o ipotecari.
È invece sempre motivo di decadenza il mancato rispetto, da parte dell’erede, del termine per il compimento della liquidazione o per la formazione dello stato di graduazione che, su istanza di alcuno dei creditori o dei legatari, gli sia stato eventualmente assegnato dal giudice ex art. 500 c.c.
F) Mora nel rendiconto ai creditori
Infine, l’erede beneficiato, che ha l’obbligo di rendere il conto della propria amministrazione ai creditori e legatari – i quali a tal fine possono fargli assegnare un termine dal giudice – è tenuto a rispondere con i propri beni se non vi provvede; secondo la dottrina, tuttavia, perché vi sia responsabilità illimitata non è sufficiente una mera messa in mora stragiudiziale, ma è necessaria anche la scadenza del termine all’uopo fissato dal giudice.